Finalmente la Torre Guevara aperta al pubblico, ma che degrado nel parco e nelle sale!

IMG_0255IMG_0253Anche quest’anno le “Giornate di Primavera” del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano, sono capitate a proposito. Grazie a questa lodevole e consolidata iniziativa, che ha consentito di tenere aperti tra oggi e domani centinaia di siti  in ogni angolo d’Italia, è possibile mostrare per la prima volta al pubblico ilIMG_0251 lavoro compiuto dall’équipe dei restauratori dell’Università IMG_0243di Dresda all’interno della Torre Guevara. Un’opportunità resa possibile dall’impegno del Circolo* Sadoul, che cura questa apertura eccezionale del monumento di Cartaromana e le visite guidate, grazie alle quali ischitani e forestieri sono accompagnati in un percorso intrigante di cui sono parte integrante le pitture murali appena riportate alla luce. Un’occasione preziosa, tanto più considerando che la torre negli ultimi anni è stata quasi sempre chiusa e le sue aperture hanno rappresentato purtroppo degli eventi eccezionali.

Ma insieme agli aspetti positivi di questo week-end di apertura del complesso di Cartaromana, ce n’è anche uno negativo. Che consiste nel dover presentare la torre e il parco circostante nelle condizioni in cui sono ridotti. A dir poco imbarazzanti. Da vergognarsi, rispetto alle reazioni che prevedibilmente potranno suscitare, soprattutto nei turisti. A maggior ragione, per lo stridente contrasto  tra il degrado evidente che si nota all’interno e all’esterno dell’edificio storico ischitano e, da una parte, il fascino dei dipinti delle sale del piano nobile e, dall’altra, la magnificenza dello spettacolo naturale della baia sotto il Castello. Ma come si fa a tenere così male una struttura e un parco così particolari in un posto del genere? E’ la domanda da cui non si può sfuggire, con  stupore e rammarico insieme, guardandosi intorno adesso, che sia la prima volta o l’ennesima di una visita a Cartaromana.

C’era una volta il giardino del Ninfario, che arrivava fino al mare e  inglobava la sorgente d’acqua dolce a cui era associato il mito antico della presenza delle ninfe. Un giardino che i nobili e ricchi proprietari della torre, i Guevara, duchi di Bovino, tra le famiglie più potenti della Napoli al tempo degli Aragonesi, avevano voluto raccogliesse anche specie arboree di provenienza esotica, oltre a quelle della flora locale. Un’opera creativad, quel giardino, a cui furono dedicate attenzioni e risorse non meno di quanto avvenne rispetto alla struttura, dalla fondazione ai secoli successivi, come hanno  dimostrato i ricercatori tedeschi, studiando le pitture murarie e approfondendo le loro caratteristiche tecniche e stilistiche.

Inevitabile che di quel giardino non resti nulla, se non la memoria affidata alle fonti storiche. Ma non altrettanto inevitabile dovrebbe essere lo stato di abbandono in cui si trova il parco della Torre. Dove sono andate distrutte anche tutte le piante messe a dimora solo qualche anno fa, quando si era deciso di restituire un po’ di bellezza e di decoro al giardino. Non c’è rimasto più nulla, se non il prato naturale che si è sostituito progressivamente a quello impiantato in occasione di quel restyling. Non che non ci sia verde, anzi. Le erbe selvatiche sono cresciute tanto rigogliose da sommergere tutto. E così l’effetto giungla è servito, lungo tutta la discesa, dove  gli alberi sono cresciuti fino a coprire  la vista della Torre per tutto il percorso dalla strada alla spianata. E in ogni altro angolo, c’è un groviglio di erbacce che segnala un abbandono annoso e persistente. E che dire della vasca per le ninfee, che invece, piena di acqua stagnante, fa solo da incubatrice alle larve delle zanzare?

Da fuori a dentro, le magagne non mancano. Purtroppo, magagne grosse, che i puntuali rilievi dei restauratori tedeschi effettuati negli ultimi quattro anni hanno evidenziato anche nella loro evoluzione negativa. Testimoniata da crepe che si sono allargate o che sono diventate visibili ex novo sulle pareti, anche nella sala oggetto dei restauri. Per non parlare dei danni provocati da infiltrazioni d’acqua piovana importanti, dal tetto la cui impermeabilizzazione non dà più sicurezze. soprattutto dopo la rimozione dell’antenna Vodafone, che improvvidamente il Comune (e la Sovrintendenza ai Beni culturali dov’era?) aveva accettato di installare sulla torre, in cambio di una somma di denaro che difficilmente compenserà le pesanti conseguenze sulla struttura e i notevoli (a questo punto) costi di un risanamento della copertura, dei solai e delle mura che è diventato ormai urgente e imprescindibile, se si vogliono evitare guasti ancora maggiori. Perchè ci sono dei punti, in particolare della merlatura esterna, che le foto fatte da esperti mostrano essere a dir poco precari e a rischio crollo.

“E’ importante aver riportato alla luce le pitture, ma che senso ha se non si salvaguarda il contenitore?”, la domanda retorica, nella sua logica semplice e lineare, è del professor Danzl. Ed è un nodo ineludibile da parte dell’ente pubblico che è proprietario e custode del monumento per conto dellacomunità. Tra tanti progetti partoriti negli ultimi mesi per ottenere fondi europei e non, compresi quelli per opere doppione o manifestamente inutili, sarebbe auspicabile che in Municipio si applicassero ora a un progetto di conservazione della struttura storica. Anche per correggere l’errore enorme fatto con il permesso per l’antenna di telefonia mobile. Va bene la mostra organizzata tra luglio e agosto, ma delle condizioni dell’edificio quando e come ci si (pre)occuperà? Si aspetta di dover affrontare l’emergenza? Di sicuro, la torre non potrà affrontare un altro inverno in balia delle intemperie. La nostra “Pompei domestica” attende cure e attenzioni non più rinviabili.

 

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