Era l’autunno del 1997, diciassette anni fa, quando da cronista de “Il Golfo” di Domenico Di Meglio partecipai all”inaugurazione della nuova Sir “Villa Orizzonte”. Una novità assoluta non solo per l’Asl Na2, che avviava da quel momento e da Ischia una nuova fase nel settore dei servizi psichiatrici, ma per l’intera Regione, che sul fronte dell’applicazione della legge 180 e della salute mentale era ancora quasi all’anno zero. Protagonisti di quella giornata non furono i dirigenti dell’Asl, arrivati da Monteruscello per sottolineare il senso e il valore di quella residenza sanitaria realmente affacciata sull’orizzonte. Nè gli amministratori locali, tra i quali non figurava l’allora Sindaco di Barano che, con la sua amministrazione e facendosi interprete di paure e pregiudizi largamente diffusi tra i suoi concittadini, aveva contrastato l’allocazione nel suo territorio di quella realtà. Protagonisti di quella giornata furono diciassette uomini e donne, i nuovi abitanti di quella casa, alcuni dei quali non erano ancora fisicamente presenti, ma lo sarebbero stati nelle settimane successive. Diciassette esseri umani di ritorno dall’inferno, di cui portavano profonde ferite interiori e da cui erano stati segnati anche nel corpo. Tutti ischitani che dall’isola erano rimasti lontani per decenni, fino al punto, molti di loro, da diventarci vecchi al di là del mare. In strutture, i manicomi, le cui condizioni invivibili, aberranti, distruttive, indegne cominciavano ad essere note anche al grande pubblico, grazie a inchieste giornalistiche, soprattutto televisive, coraggiose e puntuali.
Non si trattava di orrori lontani, estranei, “televisivi”. O, almeno, cessarono di esserlo proprio quel giorno, per i tanti ischitani e per noi che eravamo a Villa Orizzonte. Dei manicomi, quegli uomini e quelle donne si portavano dietro quasi tutti la paura verso altri esseri umani, la ritrosia a comunicare, la tendenza ad isolarsi. E poi la difficoltà a indossare abiti, a dormire in un letto con materassi e lenzuola, a usare i bagni per i loro bisogni fisiologici, a mangiare con piatti e posate, a lavarsi con l’acqua calda, a muoversi liberamente negli ambienti di cui potevano finalmente usufruire, a uscire per stare al sole e all’aria aperta. Una incapacità, la loro, che non derivava dalla follia. Ma che era l’inevitabile, devastante conseguenza dell’abbrutimento a cui erano stati condannati negli anni, nei decenni trascorsi in manicomio. Obbligati a stare nudi o quasi in locali sudici e disastrati, su brande non definibili come letti, ad essere innaffiati con l’acqua fredda per i lavaggi quotidiani, a non essere più considerati, trattati, rispettati nella loro dignità di uomini e di donne. Valutati realmente come scarti o comunque per inutili per la società e, come tali, spodestati di tutti i loro diritti, anche quelli più elementari attinenti alla vita quotidiana.
Ebbe un impatto pesante, quel giorno, quell’incontro con una sofferenza profonda, ascrivibile solo in parte alla malattia e per il resto a condizioni di vita che, invece di puntare alla cura e al recupero, erano state perlopiù finalizzate all’annientamento dell’umanità di quegli individui. Ma fu anche un’occasione di speranza e di consapevolezza che all’ingiustizia di decenni si stava per porre finalmente rimedio, restituendo a quegli uomini e a quelle donne, in particolare ai più vecchi, una vivibilità che era stata loro troppo a lungo negata, insieme alla possibilità di riappropriarsi della propria identità, giacchè per la prima volta tornavano ad avere un nome e un cognome – pronunciati con rispetto e perfino con affetto dagli operatori - dei vestiti, delle stanze, degli oggetti di uso comune propri.
Per gli addetti ai lavori – medici, infermieri, animatori – la sfida era enorme. Dal punto di vista professionale e umano. Da far tremare le vene dei polsi, anche per la difficoltà obiettiva di superare la diffidenza che gli assistiti avevano adottato in manicomio come difesa naturale contro soprusi, sopraffazioni e violenze all’ordine del giorno. Eppure, ognuno di loro, si assunse la responsabilità umana e civile, prima ancora che professionale, di contribuire fattivamente al progetto di cura e recupero dei residenti. Un progetto d’avanguardia, redatto e portato avanti con impegno e determinazione dal dottor Alfonso Gaglio, l’allora dirigente della Salute mentale (praticamente fondata da lui dal nulla in quegli anni) di Ischia e dai suoi collaboratori.
A cui si aggiunsero, nei mesi seguenti, i familiari degli assistiti, sempre più coinvolti, diversi volontari molto motivati e partecipativi e un numero crescente di cittadini, dalle diverse parti dell’isola e anche da Barano. Dove la prevenzione iniziale, stava progressivamente trasformandosi in attenzione prima e in sostegno poi. Perchè in un tempo relativamente breve, l’idea di aprire al massimo le porte e l’esperienza della Sir all’esterno, alla società isolana nelle sue varie articolazioni e espressioni diede i suoi frutti. E i “pazzi” diventarono amici chiamati per nome, accolti nelle case, nei negozi, nei bar, sulle spiagge. Di pari passo con la presenza a Villa Orizzonte di tanti isolani, compresi molti giovani, per le feste musicali e danzanti organizzate per Pasqua, per l’estate e in varie altre occasioni. Senza dimenticare la meravigliosa realtà del Presepe vivente, creato e rappresentato, compresi i costumi e le scenografie, dai residenti con i gli operatori e i volontari. Presepe allestito nel Palazzo vescovile di Ischia, dal ’98 per volontà del nuovo vescovo Strofaldi, sempre vicino fisicamente, moralmente e fattivamente all’esperienza di “Villa Orizzonte” di cui fu tra i più convinti sostenitori. Come nel tempo lo sono diventati gli isolani, a cominciare dai baranesi, e anche i loro amministratori locali, interpretando un sentimento diffuso tra la popolazione. E come fu dall’inizio la linea editoriale de “Il Golfo” dettata dal Direttore Di Meglio e condivisa dalla Redazione. Che ebbe l’orgoglio di dare conto sulle pagine del giornale, qualche anno dopo, del riconoscimento che la Sir ischitana ottenne dal Ministero della Sanità, per essersi distinta come realtà sanitaria all’avanguardia in tutto il mezzogiorno d’Italia.
Mi sono dilungata, ma ogni tanto è giusto e doveroso fare un po’ di cronistoria delle vicende della nostra comunità isolana, anche come testimonianza personale di fatti che non possono essere sminuiti, misconosciuti e immiseriti dalle affermazioni poco documentate di chi parla di ciò che non conosce. E che non si preoccupa neppure di conoscere. Come sarebbe doveroso, più che opportuno, quando si ricoprono temporaneamente incarichi di responsabilità da esercitare nell’interesse dei cittadini. Compresi i residenti di Villa Orizzonte che, come tutti gli altri italiani, godono di diritti costituzionalmente garantiti e validi anche nel territorio dell’Asl Na2 Nord.