Non ci sarà bisogno di aspettare il mese di luglio e tanto meno agosto, quest’anno, per parlare di choc estivo a proposito dell’ospedale isolano. Dove la stagione estiva, sempre portatrice di un forte incremento di prestazioni e di un’attività frenetica, era cominciata molto tempo prima del suo inizio ufficiale, il 21 giugno. E non solo nel Pronto soccorso, classico porto di mare, che peraltro è nel bel mezzo di una radicale riorganizzazione del lavoro del personale paramedico, ma anche negli altri reparti, nei quali si lavora a pieno ritmo e, ormai ben oltre il periodo estivo, ai limiti della disponibilità di spazio e posti letto. A conferma che ormai la struttura di via Fundera appare sottodimensionata rispetto alle esigenze già della popolazione residente, a cui ormai si aggiungono i pazienti di altre provenienze in un periodo dell’anno molto più lungo della stagione turistica canonica e, a maggior ragione, dei due mesi centrali dell’estate. Quelli nei quali, una volta, si registrava la massima pressione sul nosocomio isolano, ora “spalmata” su un arco temporale più prolungato.
Intanto, non si sa se per una coincidenza (che sarebbe comunque poco comprensibile, date le circostanze) o se per una scelta precisa, proprio alla vigilia dell’estate è stata avviata una piccola rivoluzione nella gestione del personale paramedico dell’intero ospedale e del reparto di prima emergenza in particolare. L’annosa diatriba che contrapponeva i dipendenti ischitani e quelli non residenti circa l’organizzazione dei turni di lavoro è stata composta dando il via libera ad un esperimento (o almeno così lo hanno chiamato) che ha il suo fulcro nel Pronto soccorso. Lì dove sono stati introdotti i tre turni giornalieri, che poi sarebbe la formula indicata e prescritta dalle normative vigenti, ma che a Ischia non era stata mai attuata perchè i pendolari la ritengono per loro impraticabile.
Per rendere possibile questa novità, ferma restando la netta opposizione degli infermieri non residenti, si è deciso di far lavorare in Pronto soccorso solo gli isolani, spostandoli anche da altri reparti e concentrandoli, dunque, in gran parte nel reparto in cui si è stabilito di attuare la “rivoluzione” dei tre turni. Che sarà testata proprio nel periodo più critico per il reparto di emergenza, dove peraltro restano attuali le criticità evidenziatesi nei mesi scorsi, a cominciare dall’allungamento dei tempi delle visite e dal correlato allungamento dei tempi di attesa, per proseguire con la difficoltà di raccordare e armonizzare il ruolo dei medici di provenienza ex Psaut e quello degli specialisti di reparto, in particolare internisti e chirurghi.
Di contro, negli altri reparti del “Rizzoli”, dove la predominanza (e lo è anche a livello generale) degli infermieri pendolari è nettissima e adesso, dopo i recenti trasferimenti, quasi totale, si prosegue con il sistema dei due turni: quello dalle 8 alle 16 e quello – lunghissimo – dalle 16 alle 8 del giorno successivo. Sedici ore di fila (in caso di necessità anche di più), che rappresentano di per sè un problema e un rischio, ma alle quali i non residenti non intendono rinunciare, perchè sostengono che per loro sarebbe impossibile adeguarsi alla scansione oraria dei tre turni, dovendosi ogni volta spostare tra l’isola e la terraferma e al contrario e spesso dovendo anche affrontare lunghi percorsi sempre in terraferma per raggiungere le località di residenza.
In questo contesto in evoluzione, con una dotazione di personale che, al netto degli spostamenti interni, è immutata da tempo e sempre al limite della sostenibilità (al di sotto c’è, per esempio, l’organico del personale socio-sanitario) si registra un livello di attività altissimo. In Pronto soccorso, l’incremento di prestazioni conseguente alla soppressione (per adesso…) del Psaut si è fatto sentire eccome, aggravando notevolmente la pressione sull’ospedale. Ma anche nei reparti di punta si combatte contro la ristrettezza degli spazi assegnati e il numero dei posti letto a disposizione. In Medicina, anche negli ultimi giorni, si è dovuto far ricorso alle barelle nei corridoi per garantire una sistemazione a ricoverati per i quali non c’erano letti liberi. E ormai il sovraffollamento sembra la cifra distintiva del reparto al piano terra, visto che non si tratta più di una condizione di eccezionalità, ma quasi di “normalità”. E dal canto suo, anche la Chirurgia, che deve pure dare spazio e letti alla Ortopedia (che pure lavora a tutta forza) è sempre al massimo delle sue possibilità di accoglienza e anche oltre, nonostante una gestione piuttosto efficiente del turn over.
Dopo l’affossamento dell’ampliamento già deciso e perfino finanziato e il tramonto delle ipotesi alternative, il “Rizzoli” è rimasto in una versione “mini” non confacente alle reali necessità della popolazione e al ruolo che si è conquistato a fatica negli anni. Ma la voce dell’isola è flebile a Monteruscello-Frattamaggiore e pure a Napoli, sui temi cruciali della sanità. E così i problemi si trascinano immutati. Come i disagi e le controindicazioni per gli utenti e gli operatori.