Negli ultimi anni ha subito un trattamento che si fa fatica a definire. Ci sono stati scaricati quintali e quintali di rami, sfalci, detriti organici, potature. Enormi quantitativi di materiali, almeno per quel che si può notare a occhio, come se fosse stato trasformato in un impianto di compostaggio. Improprio. E improvvido. Brutto a vedersi, come “spettacolo” che qualche pagliarella non riesce a celare, sull’altro lato del viale che conduce in uno dei luoghi simbolo dell’isola, per la sua bellezza intrinseca, per il suo valore storico, per la presenza del Museo Archeologico di Pithecusae. Avendo a disposizione un posto come Villa Arbusto e tenendo in considerazione anche il suo ruolo di attrattore turistico per l’intera isola, l’aver ridotto e il conservare il terreno attiguo alla residenza che fu di Rizzoli in uno sterpaio-discarica è a dir poco controproducente. Ed è un esempio imbarazzante di come siano spesso immiseriti e maltrattati i “gioielli” del territorio. Almeno finchè non arriva l’occasione buona per cambiare registro e recuperare ciò che si è rischiato di far andare in malora.
E’ ciò che potrebbe accadere a Villa Arbusto nel corso di questo anno appena iniziato. Con la ripresa dell’indagine archeologica nel cuore di Pithecusa, ad opera dell’UNIVERSITA’ DI AMBURGO. Che dovrebbe avviare uno scavo proprio in quel terreno degradato e malamente utilizzato, di cui si sono volute dimenticare caratteristiche e potenzialità. Perchè non si tratta di un pezzo di terra qualsiasi. Nel suo ventre sono custodite vestigia archeologiche importantissime. E non si tratta di una semplice ipotesi, magari ardita, nè di una mera supposizione. C’è l’ubicazione di quel sito ad indicarlo: dall’altra parte della strada, sempre sulla collina di Mezzavia, la terra ha restituito una delle scoperte archeologiche più interessanti del Mediterraneo, ovvero il quartiere metallurgico di Mazzola e un parte dell’abitato dei Pithecusani fin dall’inizio del loro insediamento sull’isola, nell’VIII secolo a.C.
“Soltanto recentissimamente – scriveva Giorgio Buchner in una comunicazione al Centro Studi sull’isola d’Ischia – abbiamo scoperto che nell’VIII e nel VII secolo l’abitato di Pithecusa si estendeva anche sulla collina di Mezzavia. Lo scavo, iniziato nel 1969, ha già messo in luce avanzi relativamente ben conservati di case di quel periodo, insieme ad una notevole quantità di ceramica e di oggetti di ferro e di bronzo. Il materiale più antico è della stessa età della ceramica più antica finora rinvenuta sull’acropoli di Monte Vico e nella necropoli di San Montano, mentre al di sotto dello strato greco si trovano anche qui gli avanzi di un villaggio della Civiltà Appenninica dell’età del bronzo. La circostanza che l’insediamento greco sulla collina di Mezzavia sia stato abbandonato molto presto, intorno al 600 a.C. a giudicare dalla ceramica più recente che vi è stata rinvenuta, è da considerarsi particolarmente fortunata. Soltanto così si sono potuti conservare avanzi delle strutture murarie delle case di abitazione dell’VIII e del VII secolo, costruite con piccole pietre a secco, che altrimenti sarebbero state distrutte dalle costruzioni di età successive. Sono queste, le prime case greche di quel periodo che si vengono a conoscere in Italia, mentre sono rari gli esempi rinvenuti nella Grecia stessa”.
Dell’area archeologica di Mezzavia, oggetto di altre fruttuose ricerche successive, almeno nei terreni acquisiti dalla Sovrintendenza, resta da esplorare la porzione corrispondente al terreno dell’Arbusto. Dove i saggi già effettuati hanno rivelato la sicura prosecuzione dell’abitato pithecusano più antico. E si annunciano importanti rivelazioni dallo scavo di quel sito, che racchiude testimonianze di epoca arcaica più uniche che rare. Capaci di gettare nuova luce sull’origine del più antico insediamento greco in Occidente e, dunque, sugli albori della Magna Grecia. Di riportare alla luce reperti di valore storico ancora inimmaginabile. Di consegnare all’isola una grande parco archeologico proprio di fianco al museo che custodisce, tra l’altro, la Coppa di Nestore e il Cratere del Naufragio, due manufatti che rivestono un’importanza assoluta per la civiltà occidentale.
Un progetto che aveva accarezzato anche Buchner, quando aveva visto finalmente realizzato il museo per cui tanto si era impegnato e battuto nel tempo. Ma la mancanza di fondi che caratterizza tristemente il nostro bel Paese aveva finora bloccato ogni possibilità di effettuare lo scavo, seppure in un’area dove il successo dell’impresa è garantito. Per fortuna, adesso pare che qualcosa cominci a muoversi nella direzione giusta, grazie all’interessamento dell’università tedesca che, avendone la possibilità e ovviamente sempre sotto il controllo della Sovrintendenza, è in grado di portare a compimento l’opera di Buchner e di restituire la dignità perduta a quel prezioso angolo della nostra isola. Speriamo solo che burocrazie e ostacoli imprevisti non blocchino l’impresa. purtroppo, per come vanno le cose nel nostro strano Paese, finchè i tedeschi non avranno cominciato a ripulire il terreno-discarica di Villa Arbusto non potremo essere sicuri e tranquilli che tutto sia andato nella direzione giusta. Ma stavolta, dopo tanto lunga attesa, i presupposti per l’esito migliore sembrano esserci tutti…