La paventata chiusura della Sir Villa Orizzonte, una violenta ingiustizia da perderci il sonno

exstefaniaSe gli ischitani, tutti, non possono dormire sonni tranquilli, finchè persisterà la minaccia della chiusura della Sir Villa Orizzonte, chi decide le sorti di quella struttura dovrebbe avere problemi di insonnia ancora maggiori. Almeno se stesse ancora considerando come praticabile l’eliminazione di un servizio sanitario essenziale per l’isola. Che andrebbe di pari passo con lo sradicamento dei 10 abitanti della residenza ora allocata presso l’ex Hotel Stefania. E quello, ora come ora, non può non essere un buon motivo per restare svegli a meditare. Su come sia possibile, innanzitutto, che in un paese civile come l’Italia, vigente la legge 180, si possa anche solo pensare di mettere fine di un’esperienza come quella di Villa Orizzonte.

Un’esperienza pilota, nella Campania del ’97, quasi completamente impreparata ad affrontare la chiusura dei manicomi e priva di alternative a quei luoghi di abbrutimento che  stavano per essere archiviati. Un’esperienza che già a distanza di un anno o poco più dal suo avvio fu riconosciuta a livello nazionale come un modello nel Mezzogiorno. Riconoscimento tanto più rimarchevole, considerando che la Sir isolana era ancora l’unica dell’allora Asl Na2, in un periodo nel quale la sanità isolana, a cominciare dal Rizzoli, rappresentava tutt’altro che un esempio da esibire.

Ma soprattutto si presentò subito come un’esperienza nella quale l’aspetto assistenziale e quello umano camminavano insieme, in armonia, per restituire una vita dignitosa a uomini e donne che, ristretti da anni o da decenni in strutture più distruttive che ricostruttive, erano ridotti a fantasmi senza diritti, senza rispetto, senza dignità. Persone che non erano state più trattate come tali nella quotidianità, costrette in condizioni igieniche indescrivibili e intollerabili anche per degli animali, abbandonate al degrado come cose inutili, scartate, da emarginare, isolare, dimenticare. “Residui manicomiali” era la terribile definizione burocratica che li bollava. E con questa definizione (che pare sia tornata nel lessico di qualche esperto in relazione ai residenti di Villa Stefania) arrivarono a Ischia come figli rimossi dalla stessa memoria della comunità e per i quali nessuno avrebbe ucciso il vitello grasso.

Arrivarono in pessime condizioni, tra l’ostilità dei vicini e di qualche istituzione, in quell’ex pensione affacciata sull’orizzonte, con grandi finestre da cui entrava liberamente la luce, in stanze con letti dotati di materassi puliti, lenzuola linde e coperte calde; con armadi dove poter riporre abiti e biancheria propri; con bagni puliti, dotati di servizi e di acqua calda; con un salone dove si poteva mangiare a tavola, nei piatti con forchette e cucchiai, e dove si poteva vedere la televisione, seguire delle attività, stare insieme,fare festa e ricevere amici. Cose semplici, normali, familiari. Scontate? Per niente, visto che tutte queste piccole, normali cose erano state loro negate per quasi tutta la vita. Fino a perdere completamente la capacità di usarle, di viverci in mezzo, di riconoscerle.

Da lì, da quel livello di spersonalizzazione totale, è cominciato il percorso che poco a poco, grazie all’impegno-dedizione-professionalità-umanità degli operatori di Villa Orizzonte, ha riportato quei “residui” a riprendersi la dimensione di uomini e donne. Più o meno sofferenti, ma titolari di diritti, soggetti attivi nel quotidiano e non più oggetti, destinatari di rispetto e di affetto. Non solo dagli operatori, che sono stati in questi anni i loro angeli custodi 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, condividendo i progressi e le difficoltà di un ritorno alla vita, ma anche dei vicini di casa, della comunità isolana nel suo complesso. E perfino dei pubblici amministratori che avevano fatto le barricate e poi si sono  ricreduti.

COSI’ NEGLI ANNI SI E’ CREATA UNA FAMIGLIA. Di cui sono parte i pazienti e chi li assiste, li accompagna, li tutela. Una famiglia che nel tempo ha perduto alcuni dei suoi membri più anziani e ne ha accolti altri, più giovani, ma altrettanto bisognosi di una dimensione che fosse di aiuto e sollievo alle loro patologie. Una famiglia che otto mesi fa è stata sradicata bruscamente e impietosamente dalla sua casa, per essere spostata senza rispetto in una dimensione diversa, peggiorativa delle condizioni di vita quotidiane. Ed è stato un trauma vero, un’altra ferita, dalle conseguenze serie. Anche se chi quello sradicamento ha deciso, per un presunto risparmio, finge di ignorarlo.

Tanto da pianificare addirittura, per sanare propri pesantissimi errori, lo smembramento della famiglia, la dispersione dei singoli in altre strutture, allontanandoli dagli altri, dagli operatori con cui hanno confidenza e in cui hanno fiducia, dalla normalità che a fatica hanno riconquistato, già incrinata dal trasferimento a Casamicciola. Quali conseguenze devastanti tutto questo possa avere nella vita di persone già provate non ci vuole una laurea in medicina con specializzazione per capirlo. Bastano sensibilità umana e un po’ di intelligenza. Ciò che dobbiamo PRETENDERE da chi a Monteruscello si vuole prendere il diritto di distruggere dopo 18 anni l’esperienza di Villa Orizzonte. Un’eventualità che non può farci dormire. UN’INGIUSTIZIA che Ischia e i 10 abitanti di Villa Orizzonte non possono permettersi. E CHE DA CITTADINI, rispettosi dei diritti umani e delle leggi dello Stato, NON DOBBIAMO PERMETTERE.

 

 

 

 

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