Sempre più stretto. E sottodimensionato rispetto alle esigenze reali dell’isola. Nessuno ne parla più nè tanto meno se ne preoccupa più, che il “Rizzoli” sta scoppiando. E invece è quello che capita ogni giorno, ormai quasi senza soluzione di continuità da un periodo all’altro, da una stagione all’altra. Tanto che non solo più solo i posti letto disponibili, quelli scritti e calcolati sulle carte ufficiali, ad essere tutti occupati, ma tutto lo spazio utile possibile, sfruttato al massimo con le barelle, per accogliere “provvisoriamente” i degenti, che vanno comunque sistemati. Una capienza che non si può dilatare oltre. Anche se nei reparti di punta è ormai conclamata la sua insufficienza, enorme limite strutturale che si aggiunge e ingigantisce le altre pesanti, croniche carenze dell’unico ospedale isolano.
In Medicina, la trincea del “Rizzoli”, non si sa più dove metterli, i malati. I posti nelle camerate sempre pieni, nonostante l’attenzione massima al turn over, e il solito, ampio ricorso agli “appoggi” in altri reparti, che però, operando anch’essi a pieno ritmo, di letti liberi ne hanno pochi. E così non restano che le barelle, famigerata soluzione di ripiego, che da eccezionale è diventata normale. Anche se non c’è nessuna normalità in una postazione mobile, collocata in corridoio, in mezzo al viavai degli operatori e dei visitatori, dove il paziente non può godere di tranquillità, silenzio nè privacy come nelle camerate. Dove non si ha un posto per tenere le proprie cose, non c’è un comodino su cui appoggiare un bicchiere d’acqua, non una sedia per un familiare. Dove per andare in bagno, bisogna appoggiarsi a quello della camera più vicina e anche le esigenze più elementari sono più difficili da soddisfare.
Una situazione che con la normalità, anche quella di un ospedale, non ha nulla a che fare e che accentua e ingigantisce tutte le difficoltà e i problemi di un ricovero. Per il paziente, per i familiari. E per gli operatori. Le barelle – e oggi solo in Medicina ce n’erano una decina – sono pazienti in più da seguire, e anche in condizioni di indubbia difficoltà pratica e logistica. Pazienti in più che fanno saltare tutte le proporzioni tra numero di posti letto e addetti medici e paramedici. Proporzioni che, peraltro, al “Rizzoli” già sono storicamente sempre in bilico, per le carenze di personale e per i problemi organizzativi legati all’altissima percentuale di lavoratori pendolari che fanno sempre più fatica a raggiungere l’isola.
Quando se ne segnala la presenza nei nosocomi della terraferma, le barelle vengono presentate come l’esempio più eclatante di una sanità qualitativamente non all’altezza di un paese civile. Come il segno di una sconfitta per chi gestisce servizi inadeguati. Da noi, non ci si fa più caso, non ci si stupisce neppure (tanto meno scandalizza) davanti alla dimostrazione plastica della condizione permanente in cui si trova l’ospedale ischitano. IN CUI, SOPRATTUTTO, SI TROVANO GLI ISCHITANI, CON UNA STRUTTURA CHE E’ RIMASTA DIMENSIONATA ALLA POPOLAZIONE DEI PRIMI ANNI SESSANTA. Anzi, peggio, dopo una ristrutturazione progettata per essere integrata da un ampliamento che la politica di bassa lega poi si è mangiata, senza neppure prendersi il fastidio di spiegarne il perchè e il per come ai cittadini che ne subiscono ogni giorno di più le conseguenze. Sulla loro pelle e quella dei loro cari.
Non se ne parla e non ci si preoccupa più della situazione dell’ospedale isolano. Come se tutto andasse alla grande, funzionasse al meglio, se l’assistenza fosse al top. Ci stiamo rassegnando, zitti e muti, perfino alla profusione delle barelle nei corridoi, come se fosse normale ciò che non può e non deve esserlo. Ci stiamo riabituando ad immagini da “medicheria da campo”, indegne di un paese civile. E’ con questo silenzio rassegnato che ci prepariamo forse ad applaudire e ringraziare chi nelle prossime settimane avrà il coraggio di venire a parlare di qualità dell’assistenza sanitaria sull’isola dove ogni giorno è sempre meno garantita?