Il 13 al Polifunzionale, “Mille orti in mezzo al mare”, prima teatrale del libro di Ciro Cenatiempo

Ciro Cenatiempo (foto GG Lubrano) (1)E’ un argomento di stretta attualità. E di tendenza. Oggi. Perfino capace di attirare l’attenzione di un pubblico vasto e variegato impensabile fino a pochi anni fa. Una moda, a volersi fermare  all’apparenza. E se solo di moda si trattasse, potrebbero essere sufficienti a rilevarla e ad alimentarla gli scambi veloci e parchi di parole che impazzano sui social. Ma il rinato interesse degli isolani verso la terra va oltre e meritava  di essere scavato più in profondità, di essere esplorato nella varietà delle sue manifestazioni, di essere raccontato nel suo complesso divenire. Da chi ne è stato testimone, narratore, coltivatore e agevolatore quando la società ischitana sembrava muoversi ancora in tutt’altra direzione. E i terreni valevano solo in funzione di quanto ci si sarebbe potuto costruire. Perciò “MILLE ORTI IN MEZZO AL MARE”, il nuovo libro di CIRO CENATIEMPO, “Ad est dell’Equatore” editore, non è frutto della moda e non si limita ad assecondarla. Ha radici più salde, lontane, profonde. Sta sulla notizia, e non potrebbe essere altrimenti per un cronista di razza, ma ha pure un respiro lungo, che proietta la tendenza odierna nel futuro, ne intravede l’evoluzione, ne anticipa le potenzialità. Oltre la superficie.

Arrivato a pochi mesi da “Esercizi di scomposizione della risacca e altre marine”, rivelazione dell’estate scorsa, il volumetto appena pubblicato ha tutt’altra natura, vita propria e una propria spiccata identità. Ma chiude anche il cerchio che i fini giochi poetico-linguistici degli “esercizi” avevano iniziato a disegnare dal mare per approdare sulla terra e che ora, partendo dalla terra di un’isola va a ricongiungersi inevitabilmente al mare che quella circonda, definisce, qualifica. “Un giro concettuale figlio di questa terra in mezzo al mare”, lo sintetizza l’autore. E quell’essere elemento solido definito e circoscritto dal liquido ne fa “un grandissimo laboratorio mondiale, da qualunque parte la si guardi. Perchè l’isola è la summa di tutte le cose buone e cattive che s’incontrano nel mondo, un piccolo continente”. Un’”epitome del mondo”, la definì  George Berkeley, a cui Cenatiempo dedica un’ampia citazione, per illustrare le contraddizioni forti di questo microcosmo di cui il filosofo inglese commentò anche con dovizia di particolari la straordinaria fertilità e la dovizia delle produzioni agricole.

IMG_2317“E’ UN LIBRO DEDICATO ALLA TERRA”, lo definisce l’autore con sei parole semplici e immediate, che nelle 132 pagine si moltiplicano, si precisano, si ramificano raccontando le tante sfaccettature del rapporto di oggi tra gli ischitani e la terra, la loro terra. Un rapporto in corso di ricostruzione, recente, da parte di una generazione di mezzo che non ha vissuto la sofferta e difficile dipendenza totale dalla terra dei nonni e neppure l’allontanamento e il rifiuto ostinato e forse liberatorio dei padri. “La fatica non è una tradizione” è il titolo dell’introduzione. Che comincia poi così: “La terra è un sacramento. Un vizio capitale. Una metafora sulla quale camminiamo”. Da qui procede la ricostruzione del percorso che, all’inizio con un movimento quasi impercettibile e silenzioso e poi con passo sempre più deciso e vivace, ha portato le idee di pochi a diventare in qualche decennio un approccio sempre più condiviso. E la memoria storica anche personale dell’autore è guida preziosa nel sintetizzare questo itinerario di riavvicinamento alla terra, lento e non privo di contraddizioni, che ha avuto tappe precise e fondamentali che lo hanno orientato e che ancora sono parte integrante e costituente della sua evoluzione.

IMG_2487Idee, persone. RICCARDO D’AMBRA, che con la condotta Slow Food ha dato un impulso decisivo ad un recupero del valore della coltivazione della terra, della riscoperta di colture e sapori del territorio. CORRADO D’AMBRA, con il suo progetto agricolo-filosofico del Giardino Mediterraneo. “Persone con cui ho condiviso momenti fantastici”, dice Ciro. E poi quanti hanno scelto di ricominciare a investire nella viticoltura, riavviando la coltivazione di terreni abbandonati. Perchè la vite è stata pioniera anche di questa fase recente della (ri)nascita dell’agricoltura ischitana. Che vuol dire anche gestione del territorio. Cultura delle parracine, della difesa del suolo, del rispetto delle caratteristiche e dell’identità dei luoghi. Rapporto etico con l’ambiente, con la terra che è la nostra casa come ci ricorda l’etimologia delle parole.

IMG_2488E vicino alle case crescono gli ORTI, la nuova frontiera dell’agricoltura ischitana non più solo dipendente dalla produzione vinicola. Dall’orto rinato tra le antiche mura del Castello Aragonese a quelli che si moltiplicano sull’Insula Maior, curati da appassionati che usufruiscono di saperi antichi o che se li stanno costruendo ex novo da autodidatti. Incontri, racconti, interviste: la seconda parte del libro compone un mosaico di esperienze, passioni, novità insospettato e stupefacente. Ricco di curiosità e primizie che svelano la dimensione “verde” dell’isola. “C’è un fenomeno di riappropriazione del territorio confortante”, rileva l’autore. E dopo questo libro, la percezione sostenuta da fatti, personaggi e progetti si concreta in realtà oggettiva.

Ma lo stile si presta a fare di questo saggio anche una performance teatrale. Curata dall’autore, che l’ha pensata per una presentazione originale, affidata in scena a ENZO BOFFELLI, LEONARDO BILARDI, GIUSEPPE IACONO e MILENA CASSANI. L’appuntamento è per mercoledì 13, al Polifunzionale alle ore 19.00.

 

 

 

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