Nel ventre di Lacco il quartiere dei vasai di Pithecusa, un unicum senza pari nel Mediterraneo

Gli Scavi sotto la chiesa di Santa Restituta – Foto Qui Ischia

DON PIETRO MONTI ne era piuttosto rattristato. Non aveva mai capito perché quella novità così particolare e rara non avesse ricevuto l’attenzione che si sarebbe meritata. E così era stato per decenni, nonostante il suo impegno nel dare risalto a quella scoperta che tanto lo aveva entusiasmato. Fino a quando, erano gli anni ’90, non iniziarono i contatti con un gruppo di ricerca dell’Università di Berlino, guidato dal professor WOLF DIETER HEYLMEIER, che stava conducendo una ricerca con metodologie scientifiche d’avanguardia nei centri di produzione dell’antichità. E apprestandosi a studiare l’industria della ceramica, approdarono a Ischia, dove erano venuti a conoscenza che erano state ritrovate delle fornaci di epoca greca. Proprio la grande scoperta misconosciuta di don Pietro. Che, però, fu finalmente valutata in tutta la sua importanza dall’équipe venuta dalla Germania.

Dopo la visita agli Scavi di Santa Restituta, i ricercatori tedeschi, che avevano effettuato dei sopralluoghi in altre aree legate alla produzione figulina in giro per il Mediterraneo, a cominciare dalla Grecia, dovettero riconoscere che una realtà così stupefacente non esisteva in nessun altro luogo. Non vi erano altri esempi, infatti, assimilabili a quanto era stato riportato alla luce nel ventre di Lacco Ameno dal prete archeologo che, da autodidatta, avevano scoperto essere uno straordinario conoscitore della ceramica antica: ben cinque fornaci, stranamente ben conservate, al contrario di quanto avevano verificato altrove, e soprattutto riconducibili ad un periodo di tempo molto lungo, presumibilmente dall’VIII al III secolo a.C. E anche questa, avvalorata dalla ipotesi cronologiche elaborate da don Pietro, era una particolarità mai riscontrata negli altri siti visitati.

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Il professor Heylmeier – Foto Qui Ischia

Ce n’era più che a sufficienza, dunque, per dare concretezza al progetto di ricerca che era stato fino ad allora solo ipotizzato. Prese corpo, così, il PROGETTO ISCHIA, coordinato da Heylmeier, su cui furono impegnati dei giovani e valenti ricercatori ed esperti delle modernissime tecnologie che rappresentavano la grande novità di quel lavoro. Nel gruppo, un ruolo fondamentale lo aveva un’archeologa italiana, GLORIA OLCESE, che avrebbe dovuto guidare le operazioni da effettuare, a più riprese, nel quartiere ceramico di Pithecusa. E la dottoressa Olcese venne più volte a Ischia, in varie stagioni, con i tecnici e le sofisticate apparecchiature che per la prima volta venivano utilizzate per analizzare le fornaci, ma anche i materiali che si erano ritrovati all’interno di esse, sia come materia prima sia come prodotti finiti o scarti di produzioni. Per fortuna, negli scavi ischitani erano presenti reperti riconducibili a tutte le fasi della lavorazione dell’argilla. Con il valore aggiunto dei bolli che i vasai pithecusani usavano per “firmare” i loro prodotti.

“Sono venuti dalla Germania per le fornaci greche e stavolta saranno studiati approfonditamente i bolli, per ricostruire gli spostamenti degli oggetti prodotti a Pithecusa nel Mediterraneo”, fu la sintesi con cui don Pietro comunicò quella novità della collaborazione con la Freie Universitaet di Berlino che tanto lo entusiasmava. In fondo, quei ricercatori gli offrivano la possibilità di seguire al di là del mare le tracce – e il destino – delle ceramiche a cui aveva dedicato ore e ore di studio, lì dove lui non avrebbe mai potuto seguirle, pur avendo elaborato varie ipotesi su quella questione.

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Don Pietro con Gloria Olcese

Ipotesi che non aveva trascurato di discutere con Heylmeier, che ha ricordato con affetto, nella conferenza del centenario di qualche giorno fa, quelle lunghe conversazioni con don Pietro a casa sua, ripetutesi varie volte negli otto anni di durata del “Progetto Ischia”. A seguire quest’ultimo sul posto era stata Gloria Olcese, che don Pietro accoglieva ad ogni ritorno con gli altri del gruppo con affetto paterno e con il piacere di apprendere, di volta in volta, i progressi della ricerca e di seguire con la curiosità del neofita l’applicazione di quei nuovi metodi di ricerca negli scavi che erano la sua creatura e la sua casa. E ce la metteva tutta per offrire il massimo supporto, logistico, di idee e di informazioni. “Le indicazioni di don Pietro sono state essenziali – ha spiegato la Olcese, oggi docente all”Università La Sapienza di Roma – come le passeggiate che mi ha fatto fare per conoscere l’isola e tutti i luoghi legati all’archeologia. Mi ha suggerito lui di effettuare dei carotaggi anche nei giacimenti di argilla di Casamicciola utilizzati fin dall’epoca pithecusana ed è stata una indicazione molto utile. E anche le sue informazioni dettagliate sullo stato in cui erano state ritrovate le fornaci e il loro contenuto, il suo modo molto preciso di catalogare e conservare i reperti sono stati preziosi per il nostro lavoro”.

Quel progetto di ricerca, tra i rilievi effettuati a Ischia e il grande lavoro di analisi e di studio svolto in Germania, ha portato a risultati di grande interesse, già in parte pubblicati in un primo volume a cui presto seguirà un secondo. Le cui “rivelazioni” principali sono state anticipate proprio a Ischia, nel convegno di sabato scorso, dal professor Heylmeier e dalla professoressa Olcese. Confermate le teorie di don Pietro, sono emerse anche grandi novità sul ruolo della produzione di ceramica di Pithecusa nell’antichità. La storia continua…

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