Foto Qui Ischia
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Se ne trova tanta sulle spiagge, tra gli scogli. Trasportata a terra dalle mareggiate che si sono susseguite soprattutto nelle ultime settimane. Tanta plastica, con le più diverse forme e funzioni, che incivili non si sono fatti scrupolo di abbandonare nell’ambiente, incuranti delle conseguenze sul mare e sulle sue creature. E’ la plastica che si vede, ma non è l’unica presente nel mare. Ce n’è anche, tanta, che l’occhio umano non può vedere, in particelle talmente piccole da essere misurate in micrometri e addirittura in nanometri. Una presenza sempre più massiccia, diffusa, invasiva. Insospettabile e temibile, perché finisce per entrare nella catena alimentare e, dunque, anche dentro di noi. Con effetti sulla salute che sono ancora oggetto di studi e verifiche nel mondo da parte di vari istituti scientifici. Un argomento poco noto, che tuttavia interessa tutti e che perciò merita una maggiore divulgazione e diffusione. Come è avvenuto poche ore fa all’Antoniana, in occasione della prima giornata della SCUOLA SCEINZA & SOCIETA’ 2016 dedicata a”Natura e cultura delle piccole isole” e organizzata dal CIRCOLO SADOUL, dal LICEO STATALE ISCHIA, dall’ISTITUTO PER GLI STUDI FILOSOFICI e da CITTA’ DELLA SCIENZA.
Davanti ad una nutrita rappresentanza degli studenti del Liceo, tra le numerose relazioni previste, la dottoressa MARIA CRISTINA COCCA, dell’Istituto Polimeri, Compositi e Biomateriali del CNR di Pozzuoli, ha presentato un intervento su “Pressione e impatti dei rifiuti solidi nell’area marina costiera: salviamo l’Isola Verde”, che avrebbe dovuto condividere con la dottoressa MARIA CRISTINA BUIA della Stazione Zoologica “Anton Dohrn”, assente per gravi motivi personali. Cocca ha descritto come la plastica inquina mari e oceani del pianeta con un impatto sempre maggiore sull’ambiente marino. Una parte di essa arriva dalla frammentazione dei rifiuti buttati a mare: bottiglie, flaconi e recipienti vari, piatti e bicchieri, buste. Tutto il “corredo” insomma che troviamo sui nostri lidi anche in questi giorni. Anzi, se la presenza in acqua allunga i tempi di degradazione, quando gli oggetti spiaggiano, l’esposizione all’aria e al sole favorisce la riduzione in piccoli pezzi che in gran parte tornano in mare. Un’altra parte, rilevante, di materiali plastici proviene, invece, da sostanze di uso quotidiano, che sono parte integrante delle nostre abitudini: prodotti per la cura e la pulizia del corpo (cosmetici, detergenti, dentifrici,shampoo), tessuti sintetici, vernici e polveri provenienti dalla manutenzione di imbarcazioni o costruzioni vicine al mare. Si tratta di particelle invisibili di plastica, che arrivano al mare dagli scarichi domestici quando ci laviamo noi o laviamo i nostri indumenti e, a causa delle dimensioni minuscole, non possono essere filtrate da alcun impianto di depurazione. Insomma, senza saperlo, anche lavandoci viso e mani o i denti, come facendo la lavatrice, inquiniamo il mare con materiali plastici quali polietilene, polipropilene, nylon e via elencando.
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Una volta finite in mare queste sostanze, sotto forma di particelle tanto piccole quanto numerose, hanno anche un’altra caratteristica che ne accresce la pericolosità: ASSORBONO, infatti, e ACCUMULANO METALLI PESANTI- cadmio, piombo, mercurio – E CONTAMINANTI CHIMICI. Queste particelle di cui pullulano mari e oceani in ogni parte del pianeta vengono ingeriti da pesci e organismi marini. E perfino dallo zooplancton. Così finiscono per entrare in ogni anello della CATENA ALIMENTARE plancton, pesci, fino all’uomo. La dottoressa Cocca ha proposto immagini veramente sconvolgenti circa la quantità di frammenti di plastica (illuminati con particolari tecniche visive) sospesa nell’acqua del mare.
Gli studi su questo inquietante fenomeno sono andati moltiplicandosi negli ultimi anni. Con l’obiettivo, da una parte, di conoscerne la diffusione e gli effetti sulle specie marine e sugli esseri umani e, dall’altra, di scoprire sistemi e materiali utili quanto meno a limitare l’immissione di plastica nell’ambiente marino. Si sta cercando di limitare l’uso di plastiche nei cosmetici e nei prodotti di pulizia. L’Istituto Polimeri partecipa ad una ricerca europea, il PROGETTO MERMAID, per limitare l’impatto delle microplastiche da lavaggio di tessuti sintetici. Perciò sono stati individuati materiali siliconici che “imprigionano” le sostanze plastiche dei tessuti, evitando che con i lavaggi si disperdano nell’ambiente, e si stanno sperimentando detergenti con una composizione che ottimizza il ciclo del lavaggio e riduce il rilascio di plastica.
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Sono in corso anche molte ricerche sugli effetti delle microplastiche sui pesci. Ne sono state individuate ovunque sul pianeta grandi quantità negli organi interni e perfino nei tessuti dei pesci. E questo vuol dire che CON IL PESCE, LA PLASTICA FINISCE NEI NOSTRI PIATTI E, DI CONSEGUENZA, NEI NOSTRI ORGANISMI. E se non si conosce ancora il livello di tossicità della plastica nell’uomo, sui pesci ne è già stato verificato l’effetto devastante a livello epatico.
E comunque le microplastiche sono venute fuori anche analizzando il sale marino, in particolare quello cinese, ma il fenomeno è generalizzato.
Se la diffusione delle microplastiche si combatte con la ricerca di nuovi prodotti e materiali che non le disperdano nell’ambiente, E’ POSSIBILE PER OGNUNO DI NOI EVITARE CHE I RIFIUTI DI PLASTICA SI FRAMMENTINO IN MARE, RACCOGLIENDOLI DALLE SPIAGGE E DALLE SCOGLIERE, PER SMALTIRLI A TERRA CON LA RACCOLTA DIFFERENZIATA. Perciò è necessario l’impegno volontario di ciascuno, per contribuire attivamente a SALVARE IL MARE E A TUTELARE LA NOSTRA SALUTE. Un appello in tal senso si è levato dal convegno all’Antoniana, rivolto a tutti gli isolani. Non c’è che da darsi da fare. La plastica sulle spiagge aspetta di essere recuperata, prima che torni a far danno in mare.