La baia di Sant’Anna svela un’altra delle sue meraviglie: la grotta dello scoglio “Tre Pizzi”

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Oltre un secolo e mezzo fa era stata protagonista di una importante scoperta botanica. Nelle sue numerose esplorazioni in giro per l’isola, il grande botanico Giovanni Gussone vi aveva scovato una pianticella fino ad allora sconosciuta, che viveva in simbiosi con le rocce sferzate dal vento salmastro e modellate continuamente dalle onde. Fu lui a darle un nome, Kochia saxicola, a cui si aggiunse anche il suo come scopritore, e ad identificarla come specie rarissima, di cui in seguito si dimostrò l’esistenza solo sull’isola di Capri e sull’isolotto di Strombolicchio, in Sicilia. Ed è lì, oltre che in una piccolissima area costiera a Palinuro, dove fu scoperta pochi anni fa, che la Kochia è sopravvissuta fino ai nostri giorni, mentre a Ischia nel frattempo  si era completamente estinta. Anche dal luogo in cui era stata scoperta, ovvero il più estremo degli Scogli di Sant’Anna, che è anche il più grande: quello antistante la spiaggia di Cartaromana, conosciuto come il Tre Pizzi.

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La Kochia sullo scoglio

Esattamente 150 anni dopo la pubblicazione del  famoso trattato di Gussone “Enumeratio plantarum vascularum in Insula Inarime…”, in cui per la prima volta veniva citata la Kochia,  prese forma il progetto di Gioacchino Vallariello dell’Orto Botanico di Napoli di tentare il reinserimento della pianta nel suo areale originario. L’iniziativa fu concretizzata grazie alla collaborazione con il Centro Studi dell’Isola d’Ischia e il Cocò Mare. Nell’estate del 2004, dunque, Vallariello provvide a piantare  tre esemplari arrivati da Strombolicchio sullo scoglio dei Tre Pizzi. Il luogo perfetto per dare alla Kochia l’occasione di tornare a Ischia. E a farsi carico di verifiche periodiche sull’esito di quel delicatissimo reimpianto furono Antonino e Vincenzo Italiano per il Centro Studi.

Per dieci anni la Kochia visse e si rigenerò, riprendendo poco a poco possesso del suo scoglio. Finché malauguratamente, sempre d’estate, non fu introdotta in quel sito una coppia di conigli, che in poco tempo misero di nuovo in pericolo la sopravvivenza della pianta. Tanto da convincere Antonino e Enzo Italiano a trasferire qualche piantina su uno sperone di roccia alla base dell’isolotto del Castello. Dove hanno attecchito e si stanno moltiplicando.

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Ma come avviene regolarmente per la giovane piantagione sotto il Castello, anche quel che resta della Kochia sul Tre Pizzi è motivo di periodiche verifiche da parte dell’inviato speciale del Centro Studi Isola d’Ischia, Enzo Italiano. Che qualche giorno fa, durante il suo consueto giro di controllo, si è trovato dinnanzi ad una profonda fenditura sul fianco dello scoglio. E per la prima volta dopo tanti anni, invece di guardarlo con l’indifferenza di sempre, incuriosito ha deciso di dare un’occhiata più a fondo in quella frattura. E questa ben presto gli ha rivelato una configurazione completamente diversa da quella che aveva sempre immaginato. Al di là dell’apparenza, il “Tre Pizzi” cela nel suo ventre una grotta assai suggestiva, dove non è affatto facile entrare, perchè il mare è padrone dell’ accesso e dipende dai suoi umori la possibilità di accostarvisi. Ma se il mare è clemente  e si superano le difficoltà di appiglio alle rocce “spuntute”, si apre allo sguardo una piccola meraviglia: la grotta che racchiude una vasca naturale profonda circa tre metri.

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“Più avanti ci sono rocce più o meno affioranti e si riesce ad arrivare fino in fondo senza troppe difficoltà – racconta Italiano -  La grotta è profonda una ventina di metri, larga da uno a due ed alta fino a sei metri. Una volta entrati, bisogna abituarsi alla scarsità di luce, ma non si ha un senso di oppressione perché la “bocca” è molto alta e lascia vedere il cielo verso sud-est.Non ci sono particolari riflessi del mare, ma bisognerebbe visitarla al mattino presto, quando sorge il sole i cui raggi, probabilmente, fanno capolino fino al fondo dell’antro”.

Dopo averla visitata per la prima volta, la curiosità di saperne di più ha spinto Enzo Italiano a chiedere a persone esperte dei luoghi, che hanno familiarità con gli Scogli di Sant’Anna e il loro mare, cosa sapessero di quella grotta. E, con grande sorpresa, ha scoperto che nessuno degli “intervistati”, neppure tra i più anziani, aveva mai avuto cognizione dell’esistenza di quell’anfratto. Incredibilmente rimasto nascosto e sconosciuto, benché sia da sempre sotto gli occhi di tutti. E così la baia sotto il Castello, che è diventata nota a livello mondiale per  il sito in cui viene studiato il fenomeno dell’acidificazione del mare e per il ritrovamento della città sommersa di Aenaria, ha svelato un’altra delle sue meraviglie.

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