La prima volta era stato a novembre, a Procida, sentendo raccontare la tragedia di Gaetanina Scotto da chi la conosceva e le voleva bene e non da una cronaca fredda e impersonale. L’altra è stata ieri, davanti all’immagine del disastro in mezzo alla neve, costato la vita a sei persone. Nell’un caso e nell’altro, due elicotteri utilizzati in condizioni proibitive per prestare soccorso sanitario e delle vite spezzate per interventi di emergenza che non potevano essere risolti con i normali trasporti via terra. Ed entrambe le volte, come un riflesso condizionato, è tornata alla mente la parola tanto cara ai dirigenti sanitari della terraferma quando si confrontano con gli isolani: TRASFERIMENTO. Quella che per chi vive in città o nelle vicinanze è la soluzione standard a tutte le “pretese” di assistenza di quanti, invece, vivono in zone geografiche particolari, montane o isolane non c’è differenza.
In caso di necessità, ci sono i trasferimenti: voi isolani vi dovete mettere in mente che non potete avere tutto sull’isola.
L’ultimo ad esprimersi in questi termini fu, nel maggio scorso in piazza Antica Reggia, il consigliere per la sanità di De Luca, Enrico Coscioni, rispondendo ad una domanda sul destino dell’Utic del “Rizzoli”. Non era il primo ad esprimere quel concetto e neppure a farlo con tono infastidito e quasi sprezzante. Lo stesso manager D’Amore non ha nascosto di pensarla così e chissà quanti altri ce ne capiteranno, di interlocutori così.
E’ vero, ci sono casi in cui non si può e non si deve prescindere dall’avere come riferimento le strutture della terraferma. Ma questo vale – deve valere – quando si tratta di patologie e/o di emergenze che richiedono prestazioni a più alta specializzazione, che per forza di cose non possono essere allocate in una realtà piccola e limitata a livello geografico come la nostra o un’altra isola. O come una zona di montagna. Certamente, non possiamo pretendere di avere a Ischia un Dea, un Policlinico, centri trapianti e via elencando. Ma almeno quei servizi già esistenti in loco, che per i risultati conseguiti nel tempo hanno dimostrato di poter funzionare benissimo e di salvare vite sul nostro territorio, PER QUALE MOTIVO DOVREBBERO ESSERCI ORA SOTTRATTI E, DUNQUE, NEGATI?
Tanto ci sono i trasferimenti, sostengono. Facile a dirsi…Certo, in piena estate, con il mare come una tavola, calma piatta e il cielo sgombro di nuvole, si può fare tutto con i tempi e le modalità più comodi e sicuri. E, d’altra parte, chi ci viene solo in vacanza o in gita, pensa che le condizioni siano sempre quelle e che dall’isola si vada e si venga agevolmente per mare o in cielo per 365 giorni all’anno. Sempre e comunque. “Io amo moltissimo le isole”, ci tenne a dire Coscioni, pensando che gli attribuissimo chissà quale pregiudizio anti-isolano…
Per loro fortuna, quanti hanno deciso a tavolino cosa mettere (nulla) e cosa togliere (l’Utic e non solo) al “Rizzoli” con il nuovo PIANO REGIONALE OSPEDALIERO, NON HANNO LA MINIMA COGNIZIONE NE’ CONSAPEVOLEZZA DI COSA COMPORTI LA VITA SU UN’ISOLA QUANDO NON SI E’ IN SALUTE. Non hanno idea di cosa significhi dover fare un trasferimento d’urgenza con il mare mosso, che mette fuori gioco l’idroambulanza, o con il vento forte che preclude il ricorso all’elicottero. Per non parlare della notte…
E non si tratta di eventi meteo epocali. Non di casi eccezionali, rarissimi e finanche imprevedibili. Sono situazioni tutt’altro che rare nel corso dell’anno, a parte i mesi estivi. E quando non ci sono condizioni tali da consentire i trasferimenti in continente, che si fa, se non c’è sull’isola anche una dotazione indispensabile di servizi salvavita?
La cronaca ci ha appena ricordato, nel modo più crudo, che in certe condizioni NON SI PUO’ VOLARE IN ELICOTTERO NE’ PRENDERE IL MARE. Esemplare la storia dell’infermiera GAETANINA SCOTTO e dell’elicotterista ANTONIO RAIMONDO, periti nel ’95 durante un intervento in condizioni proibitive, per trasferire in terraferma un giovane con una lieve ustione, che andava trattata al di là del mare, perché a Procida vi era appena un ambulatorio. Fu dopo quella tragedia, che a Napoli si decisero ad impiantare sull’isola un piccolo ospedale. Che adesso Polimeni ha cancellato con un tratto di penna. Tanto ci sono i trasferimenti, no?
E a Ischia, dove abbiamo da 50 anni un ospedale, non possiamo lasciarci PORTAR VIA I SERVIZI ESSENZIALI COME L’UTIC. Per salvare vite, o almeno provarci, anche quando il METEO ce lo impedirebbe.
Davanti a questa situazione di diversità e di penalizzazione così evidente e chiara, è IRRICEVIBILE LA TESI DI D’AMORE, esplicitata al Cudas a settembre: “Non mi parlate di insularità (mimica facciale e gesto con la mano eloquenti), io devo garantire lo stesso trattamento sia all’assistito di Acerra che a quello dell’isola”.
Si parla tanto di prevenzione, in questi giorni. E allora come si può negare all’isola un servizio come l’UTIC, istituito proprio per la situazione di insularità?
Chi si prende la responsabilità di legare le nostre vite al filo dei trasferimenti non sempre possibili dall’altra parte del mare?