Nunziante Scibelli

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Foto Qui Ischia

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Il noccioleto vestito di gemme è avvolto dal silenzio. Rotto soltanto, a tratti, dal latrato di un cane che appare dietro la rete, dall’altra parte del viottolo. Tutt’intorno, solo alberi a coprire la piana circondata da montagne tozze, coperte di vegetazione. Innocue, a vederle in una giornata piena di sole. Eppure, proprio da una di loro si staccò la frana che sul versante opposto fece scempio di Sarno, mentre da questa parte seminò morte a Quindici. Per una volta, colpevole la natura lì dove ad uccidere sono stati sempre gli uomini. E le donne, che quando loro sono in galera li sostituiscono nella gestione degli affari criminali di famiglia, ammazzamenti compresi. Perché la pace dei noccioleti che si perdono a vista d’occhio è ingannatrice. E a rivelarlo sono quei muri grigi di cemento armato. E quel cancello enorme, di ferro, spesso, con la telecamera che inquadra l’ingresso e il tratto corrispondente della viarella sterrata.

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Nella distesa di alberi non si intravede nessun’altra costruzione. A parte quei muri alti, che non s’immagina neppure cosa possano custodire. Sulla parete sbrecciata una targa marrone porta una scritta arancione: “10Quindici passi”, un gioco grafico tra gli zero e il nome del paese a cui questa parte della valle appartiene. Per evocare  il film famoso dedicato a Peppino Impastato. Ma è un altro il nome che si legge sotto la targa: Villa NUNZIANTE SCIBELLI. E ancora: “BENE CONFISCATO ALLA CAMORRA E RESTITUITO ALL’ITALIA”. Già, non è una casa qualunque quella circondata da mura che sembra una fortezza, nel silenzio della valle. Era un bunker, a misura di criminali che devono proteggersi dalle armi rivali e nascondersi alla giustizia dello Stato. E ora è un bene pubblico, affidato ad una cooperativa di giusti. Una trincea di legalità tra le proprietà della famiglia Graziano, una delle due che si contendono il controllo di Quindici e dintorni, massacrandosi in una faida che va avanti da più di trent’anni.

Sulla cornice di marmo nero lucido del camino ci sono le iniziali dell’ultimo latitante  vissuto tra queste mura fino all’arresto, nove anni fa. Era il 2008 quando lo Stato si svegliò dal sonno e spedì nelle patrie galere i capi delle famiglie in guerra a Quindici, con gli esponenti di spicco delle rispettive truppe. Cento arrestati, il 5 per cento della popolazione di un paese in pieno crollo demografico, perché il territorio non offre nessuna prospettiva, strozzato dall’economia imposta dai criminali insediati in tutti i gangli del potere. Compreso il Comune, sciolto per mafia per ben 5 volte, l’unico record che Quindici può vantare (si fa per dire…), nonostante la bellezza del Vallo di Lauro e il patrimonio storico-artistico di tutto rispetto ereditato dal passato. Per tutti è solo il “paese della faida”, che ha fatto tanti morti dai primi anni ’80 a oggi. Anche morti innocenti.

Aveva un’ALFA ROMEO NERA, Nunziante Scibelli, e ne era alla guida il 30 OTTOBRE DEL ’91 mentre imboccava la curva che porta al paese. E che, dall’altra parte, conduce pure alla piana dei noccioli. Lo stesso modello di auto di un camorrista a cui quel giorno erano destinati i proiettili che STRONCARONO, invece, la VITA DI NUNZIANTE. A 26 anni. Colpi che lasciarono senza marito una giovane donna incinta di una bimba che non avrebbe mai conosciuto il padre. Un uomo senza colpa, ucciso per la seconda volta dal silenzio piombato fin da subito sul suo sacrificio. E sul suo nome.

Un silenzio solido, impenetrabile. Fino a quel 2008 in cui la giustizia cominciò a fare il suo corso. Dopo 17 anni, il NOME DI NUNZIANTE TORNO’ AD ESSERE PRONUNCIATO da chi non era disposto ad arrendersi per sempre all’ordine imposto dai clan, tra una strage e l’altra. Un modo per dimostrare di essere ancora vivi in una realtà che imponeva la morte civile. L’esempio da seguire per un riscatto finalmente immaginato e desiderato da un gruppo di giovani in cerca di futuro. Quello negato a Nunziante, che non volevano, però, negarsi loro. Almeno  non senza combattere. Senza armi, loro, solo con la forza delle idee e dell’impegno quotidiano.

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Di tante, un’idea in particolare cominciò a prendere forma qualche anno dopo. Quando i beni sequestrati ai Graziano, furono confiscati e acquisiti al patrimonio dello Stato. C’era anche la VILLA BUNKER in campagna, ormai assegnata al Comune di Quindici per attività di pubblico interesse. I giovani visionari  attivarono la lunga procedura per ottenerne l’AFFIDAMENTO. Crearono una cooperativa, predisposero un progetto di utilizzo, chiesero un finanziamento. Lo ottennero dalla Fondazione con il Sud per i due terzi, la quota restante ce la misero loro. E tra la diffidenza del paese, ottennero il sostegno attivo e convinto di LIBERA, l’associazione contro le mafie fondata da DON LUIGI CIOTTI.

Era il 21 OTTOBRE 2015 QUANDO FU INAUGURATO IL MAGLIFICIO “CENTOQUINDICI PASSI” NELLA VILLA BUNKER SEQUESTRATA ALLA CAMORRA. Che la sera prima aveva dato il suo benvenuto con delle scariche di fucile a pallettoni contro il cancello di ferro, spesso. Quel giorno, a tagliare il nastro, c’erano tutte le autorità e pure una delegazione della Commissione Parlamentare Antimafia guidata da ROSI BINDI. Era il GIORNO DELLA SPERANZA, DEL RISCATTO, DELLO STATO CHE SI RIPRENDEVA UN PEZZO DI TERRITORIO, DELLA GIUSTIZIA CHE VINCEVA SULL’ILLEGALITA’.

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Da allora ci hanno lavorato sodo, in quella villa, i ragazzi della COOPERATIVA OASIPROJECT. La struttura cadeva a pezzi, a parte le porte e le finestre superblindate controllate ovunque da telecamere. L’hanno risistemata, nel garage ci hanno installato i macchinari per il maglificio a cui i rappresentanti dello Stato avevano promesso commesse e supporto. Perchè lì si stava compiendo il MIRACOLO DI UN’AZIENDA PRODUTTIVA A QUINDICI, dove il lavoro, quello pulito, assicurato, giustamente remunerato, era stato sempre un miraggio.

Poi sono arrivati i CAMPILAVORO DI LIBERA, ragazzi di ogni parte d’Italia che scelgono di trascorrere dei periodi nei beni confiscati alle mafie per dare una mano a ristrutturarli. Così l’arcobaleno ha colorato le ringhiere esterne e i muri delle stanze, dove gli ospiti hanno alloggiato. E dove torneranno altri giovani, nei prossimi mesi, nella bella stagione. E dove sono appena stati anche i RAGAZZI  dell’IPS “TELESE”, che seguono un progetto di EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’ in collaborazione con LIBERA.

Giovani testimoni esterni, ma non estranei, del percorso che con caparbia determinazione il gruppo di Oasiproject continua a portare avanti nonostante ostacoli, difficoltà e ostilità. Nonostante la lontananza dello Stato e delle sue ancora più lontane promesse.  Presenze vive nella trincea dell’Italia pulita circondata dalle terre dei clan. Dove ogni giorno SI RESISTE, A RISCHIO DELLA VITA, per non far morire la speranza, non far fallire l’occasione di riscatto, non far vincere i criminali.  E non riconsegnare il nome di Nunziante Scibelli al silenzio. Che grava, profondo, sul noccioleto vestito di gemme.

 

 

 

 

 

 

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