Quella chiesa monumento al tufo verde alle falde dell’Epomeo

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Foto Qui Ischia

Tutto ha avuto origine dalla decisione di cambiare un pavimento. Dissestato e malridotto, perfino pericoloso per i frequentatori della chiesa, gli abitanti del Ciglio, ma anche tanti fedeli, che da altre zone dell’isola si spingono fino alle falde dell’Epomeo per onorare San Ciro, il cui culto è radicato in quel luogo da oltre un secolo, ormai. Ma, come già altre volte era avvenuto in altre chiese dell’isola con risultati spesso sorprendenti, a lavori iniziati, ci si è accorti che il progetto iniziale andava rivisto. Perché la struttura aveva rivelato, del tutto inaspettatamente, caratteristiche che sommarie ristrutturazioni e azzardate sovrapposizioni avevano completamente cancellato, snaturando quel piccolo tempio venuto su nell’arco di due secoli. E, nella consapevolezza che ne sarebbe valsa la pena, il programma era stato modificato, per consentire il recupero delle peculiarità della chiesa sepolte dal tempo e dall’oblio.

Sotto numerosi strati di anonimo intonaco apposti nei decenni, venne dunque alla luce la PIETRA VERDE, caratteristica di quella parte dell’isola, ma soprattutto senza pari al mondo. Una materia prima semplice e preziosa, che, riemersa, ha restituito alla chiesa il suo aspetto originario. Quello che le era stato dato dopo il devastante terremoto del 1883, che al Ciglio aveva fatto 28 vittime e distrutto le case, oltre a colpire  in parte anche l’edificio sacro. Che dopo quella data, a partire dal 1893, tra le baracche ristrutturate solo da qualche decennio, era stato progressivamente ampliato dagli abitanti e fedeli, fino ad assumere le dimensioni e la conformazione attuali.

LA RISCOPERTA DELLA PIETRA NASCOSTA

Era stato proprio con il tufo verde, la pietra prodotta da antichissime eruzioni vulcaniche, che la struttura era stata via via realizzata. Di tufo erano le colonne portanti, di tufo erano gli archi, bene in vista all’interno, sui lati dell’unica navata severa eppure accogliente. Ma anche lì, in passato,  le pietre verdi erano state coperte e nascoste, fino a farle scomparire completamente alla vista e ad annullare anche il ricordo della loro esistenza. Fino alla rimozione di quel pavimento, quando il riemergere delle pietre verdi aveva suggerito l’idea di riportarle in evidenza anche dentro la chiesa.

Un lavoro lungo e complesso, iniziato nel 2005, che tuttavia ha regalato all’edificio un’armonia e una “personalità” che non aveva mai possedute, a memoria d’uomo. Ciò che è stato reso possibile solo grazie al coinvolgimento e all’adesione entusiastica  di artisti locali e di artigiani che hanno rivelato capacità tecniche e creative perfettamente in linea con le caratteristiche “nuove”, che poi erano quelle più antiche, della chiesa del Ciglio.

 IL CONTRIBUTO DEGLI ARTIGIANI LOCALI

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Foto Qui Ischia

Su progetto dell’associazione “Ixion”, guidata da Flora D’Andrea e impegnata nel recupero e nella valorizzazione del patrimonio storico-artistico isolano, e con la supervisione costante del canonico don Angelo Iacono, che della chiesa è il rettore, sono nati tutti gli “abbellimenti” del tempio. Il pavimento, innanzitutto, di un dolce colore naturale, sul quale spicca discretamente una decorazione in maiolica realizzata da Francesco Calise, allievo di Taki. E simbolicamente, nel pavimento sono state inserite tre maioliche con gli stemmi del vescovo Portanova, che guidava la diocesi d’Ischia all’epoca della ricostruzione della chiesa, del vescovo Strofaldi, a memoria dei nuovi lavori iniziati nel 2005, e del Comune.

Ancora più sorprendenti sono le pietre, rigorosamente di tufo verde, scolpite da Ambrogio Castaldi e trasformate in colonnine tortili e decorazioni delle colonne con motivi che richiamano i prodotti locali della terra (il grano, l’ulivo, l’uva, gli uccelli ad indicare la cacciagione). E una grossa pietra di tufo scolpita forma la base per l’altare. Quanto all’illuminazione, a parte i quasi invisibili punti luce in fibre ottiche, ci sono delle applique a ramage di ferro battuto, realizzate da un altro artigiano locale, Michele Iacono.

Per i finestroni sono stati scelti dei vetri colorati che lasciano entrare la luce (e l’interno è luminosissimo) e consentono di ammirare il mantello verde che monte che sovrasta la chiesta. Per il finestrone sul prospetto principale i vetri colorati, di scuola vietrese, raffigurano la Madonna Assunta, alla quale la chiesa è intitolata.

In un tondo sotto il soffitto, è dipinta, in uno stile semplice ed essenziale, un’”Ultima Cena” opera di due bravi artisti ischitani, Michele Cocchia e Antonio Cutaneo, artefici anche di un altro affresco su una parete e di un bellissimo trittico situato sull’altro lato del transetto. Di antico, nella chiesa restano un Cristo in legno e una bella tela, peraltro da restaurare, raffigurante l’Assunta, di un anonimo pittore di fine Ottocento.

A sottolineare la storia del Ciglio, che è anche storia di fede, una maiolica ricorda la figura del sacerdote Vincenzo Mattera, originario della frazione, uomo di grande cultura che era stato tra i primi ischitani ad insegnare in Seminario, morto in ancor giovane età nel 1905, giusto un secolo prima dell’inizio dei lavori di risistemazione della chiesa.

Questa nasconde nel suo interno qualcosa di veramente imprevedibile e unico. Sono la temperatura particolarmente fresca e un dolce mormorio di sottofondo che spingono il visitatore ad introdursi, facendo qualche passo dentro la chiesa, attraverso uno stanzone fasciato di tufo, in una sorta di grotta naturale. Nella quale un rivo alimenta ininterrottamente una pozza d’acqua cristallina, che arriva fin dai Frassitelli.

 L’ACQUA DI SAN CIRO

Quella sorgente è nota da secoli e veniva utilizzata regolarmente dagli abitanti del posto per il proprio consumo e per abbeverare il bestiame. Inizialmente, quando era stato realizzato il primo nucleo della chiesa, allora dedicata a San Giacomo, la sorgente scorreva dietro il piccolo edificio, nella roccia, per poi riemergere poco più avanti in un campo, dove ancora oggi c’è chi va a prendere l’”acqua di san Ciro”. Poi, con i successivi ampliamenti della chiesa, la sorgente aveva finito con l’essere inglobata nella struttura, com’è ancora oggi. Una ulteriore peculiarità per un luogo che ha cambiato volto, grazie ad una intelligente e coraggiosa opera di recupero e di valorizzazione dell’antico, utilizzando capacità creative e tecniche del nostro tempo, supportate dall’intera comunità del Ciglio.

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