L’edificio enorme e malridotto si presenta spettrale, come un incubo improvviso. Sulle facciate dalle linee eleganti si aprono finestre che lasciano immaginare la fatiscenza degli interni. Erbe infestanti si fanno largo nelle crepe sui muri, addolcendo un po’ con il loro verde l’impressione che suscitano le sbarre arrugginite davanti ad ogni apertura. L’impatto è pesante, tanto più dopo aver attraversato vialoni senza storia tra costruzioni venute su in fretta e senza alcuna attenzione all’estetica, ma molto vissute e intensamente popolate. Non era fuori città l’ex MANICOMIO DI AVERSA, anzi per accoglierlo avevano scelto un complesso storico in pieno centro, costruito all’epoca di Gioacchino Murat e trasformato ingloriosamente in un lager senza ritorno. Che qualche decennio dopo la chiusura risulta ancora inquietante, con la sua mole che incombe sul paesaggio tutt’intorno.
Un lungo viale si apre tra gli edifici del dolore. Dietro gli alberi che fanno ali al passaggio, ancora spogli e senza gemme, lo sguardo è attirato da una targa metallica con un nome tristemente familiare: LEONARDO BIANCHI. Oltre al famigerato manicomio napoletano, al famoso psichiatra dell’800 era stata intitolata anche una sezione della Real Casa dei Matti di Aversa, oggi un’altra costruzione “sgarrupata” assediata dalla vegetazione. Quel nome è fortemente evocatore e davanti alle inferriate del padiglione ormai deserto è impossibile non pensare ai tanti uomini e donne che hanno vissuto tra quelle mura la disperazione dell’abbandono, dell’emarginazione, delle tante prevaricazioni a cui erano sottoposti. E come non associare quei pensieri ai nostri “PULCINI SPERDUTI”, che VENT’ANNI FA furono cercati uno per uno in quei gironi infernali per riportarli sulla loro isola, in grado finalmente di offrire loro una VERA CASA, insieme all’UMANITA’ calpestata e all’AFFETTO protettivo di una comunità?
A liberare loro e tutti gli altri sventurati che avevano condiviso lo stesso calvario di disumanizzazione tra le sbarre era stata la Legge Basaglia, quando già erano passati tanti anni dalla sua entrata in vigore. E uno a uno erano stati svuotati e chiusi i manicomi, compreso quello di Aversa. Immenso. Patrimonio pubblico, occupato in parte dalla sede dell’Asl casertana, che si è accomodata in uno degli edifici più moderni lungo il vialone alberato del Parco della Maddalena. Grigio e trascurato fin dove lo squallore lascia il passo a un sentiero curato, con piante fiorite e ornamenti di legno rustico. Una semplice targa descrive tutt’altra realtà rispetto a quella appena alle spalle: FUORI DI ZUCCA, FATTORIA SOCIALE, c’è scritto. Il nome è simpatico, appropriato, evocativo anch’esso, in positivo. E infatti là è davvero tutta un’altra storia.
Una storia dai colori vivaci. Della casa, che era il padiglione femminile del manicomio e ora è la sede di un’azienda agricola, con le sale da pranzo dell’agriturismo e gli spazi comuni dove si organizzano d’estate le attività didattiche. Dei giochi per i bambini, nel piccolo parco all’esterno. Del gallinaio e del recinto con gli asinelli, ultima nata a gennaio la piccola, dolcissima Francesca. E delle verdure, rigorosamente biologiche, che si vedono crescere nel campo e poi si ritrovano nelle cassette della bottega che le vende “a minuto zero”, insieme ai prodotti del commercio equo e sostenibile e del sempre più fornito campionario della NCO, la NUOVA COOPERAZIONE ORGANIZZATA. Un marchio di economia sana, di lavoro serio e dignitoso, di agricoltura ecosostenibile. E soprattutto di LEGALITA’.
“BENVENUTI NELLE TERRE DI DON PEPPE DIANA”. E’ con questo saluto che il presidente di NCO, GIULIANO CIANO, ha aperto la porta della fattoria ai ragazzi del “TELESE”, venuti da Ischia nel loro percorso di educazione alla legalità compiuto con il PRESIDIO DI LIBERA di Ischia e Procida. Nel salone color arancio si racconta delle teorie di Basaglia e della legge con il suo nome, che ha liberato dall’orrore il popolo dei manicomi, compreso quello di Aversa. E dell’attività della fattoria sociale gestita dalla cooperativa “Un fiore per la vita”, che con altre sei cooperative sociali attive su terreni confiscati forma NCO e chiude la filiera della coltivazione e della trasformazione dei prodotti. E di come queste cooperative danno lavoro a persone svantaggiate, compresi pazienti psichiatrici, offrendo loro dei percorsi di recupero e di reinserimento nel tessuto sociale ed economico.
E si racconta di come si può fare e si fa impresa in modo pulito e rispettoso delle leggi nelle zone ad alta concentrazione di criminalità organizzata, combattendo ogni giorno in silenzio una battaglia di libertà, di giustizia e di dignità. E proprio DIGNITA’ è la parola ricorrente, sintesi della differenza
tra la realtà di “Fuori di zucca” e delle altre cooperative associate rispetto ai contesti in cui sono immerse. Compreso quello tutt’intorno al campo aversano, dove si lavora la terra per le coltivazioni primaverili, mentre continuano a crescere le verdure invernali. Un’oasi di pace, bellezza e vitalità che salda definitivamente il conto con la violenza, il dolore, la morte civile oltre che fisica che trasuda dai muri stonacati del manicomio dalla parte opposta del parco.
La dignità restituita ai nostri “pulcini sperduti” vent’anni fa, che hanno tentato, in parte riuscendoci, di togliere loro di nuovo, due anni fa. E’ un altro mondo, il Parco della Maddalena, da Ischia. Sembra. Ma l’ingiustizia cancella ogni distanza. E la battaglia quotidiana per garantire occasioni di rinascita a persone che hanno sopportato tutto il peso della vita, anche qui da noi è ancora da vincere.