E i coloni greci di Pithekussai divennero maestri d’arte e tecnologia per i vicini popoli italici

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Foto Qui Ischia

Un racconto avvincente, coinvolgente, appassionante. Che di capitolo in capitolo ci restituisce la vita sulla nostra isola di oltre ventotto secoli fa. Com’era al tempo di Pithekoussai, che coincide con gli albori della colonizzazione greca in Italia. E con la conseguente trasmissione alle popolazioni italiche delle conoscenze e delle tecnologie importate dalla madrepatria e messe a profitto nella nuova terra. Che per le sue caratteristiche ben si prestava a quello scopo. E che non a caso fu scelta dai primi coloni partiti dall’Eubea, in maggioranza dalle due città principali della grande isola dell’Egeo: Eretria e Calcide. In greco, Chalkis, che significa “metallo, bronzo”. Un nome che racchiudeva un esplicito riferimento a una delle attività produttive principali che vi venivano svolte anche in quell’epoca, corrispondente all’VIII secolo a.C., che sarebbe coincisa con la migrazione verso Occidente. D’altra parte, non era stato Omero a riferirsi agli abitanti di Eubea come “abili metallurghi”? E quella riconosciuta abilità portarono a Pithekoussai. Insieme all’arte della lavorazione della terracotta, ampiamente praticata in Eubea e replicata nella nuova colonia, con il valore aggiunto del tornio, sconosciuto agli indigeni e a tutti gli abitanti dei territori al di là del mare.

Il secondo incontro del SEMINARIO DI ARCHEOLOGIA promosso dal CENTRO STUDI ISOLA D’ISCHIA e curato dall’archeologa MARIANGELA CATUOGNO ha trattato proprio dei “Processi produttivi nel mondo antico: artigianato figulino e metallurgico a Pithekoussai”. Anche stavolta davanti ad un folto pubblico, che ha letteralmente affollato la sala della Biblioteca Comunale Antoniana, mostrando pure nelle domande un notevole interesse verso i temi trattati con grande competenza e capacità divulgativa dalla relatrice. Che ha iniziato il suo itinerario spiegando il particolare status sociale riconosciuto agli artigiani nel mondo greco. A rappresentarli, il dio Efesto che, pur non rispondendo ai canoni di perfezione fisica esaltati dalla cultura greca, ebbe il privilegio di forgiare la folgore di Zeus e le armi di Achille. E gli artigiani, in particolare i fabbri ferrai, sebbene fossero di solito uomini non abili a combattere, erano tuttavia tenuti in grande considerazione, perché erano loro a plasmare i metalli creandone armi. Perciò le loro figure erano quasi mitiche, come le loro capacità erano identificate con delle virtù magiche. E questo valeva in tutto il mondo antico, tanto che la parola fenicia “korosh”, vuol dire sia metallurgo che mago.

IL QUARTIERE METALLURGICO DI MAZZOLA

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Essendo Pithekoussai il primo insediamento greco in Italia, vi sono state ritrovate le evidenze più antiche di un sito utilizzato per la lavorazione dei metalli. Discosto dall’antico centro abitato, perchè era uso tenere le lavorazioni che producevano fumi fastidiosi e potenziali pericoli al di fuori delle aree residenziali. Una scoperta avvenuta in località Mazzola, sulla collina di Mezzavia che s’innalaza alle spalle di Villa Arbusto, a Lacco Ameno, durante gli scavi effettuati tra il 1969 e il 1972 da GIORGIO BUCHNER, in collaborazione con delle università americane, che curarono anche la pubblicazione dei risultati di quella scoperta. Oggetto, più di recente, di un ulteriore approfondimento e aggiornamento dall’archeologa ischitana NICOLETTA MANZI, che vi ha dedicato la sua tesi per il dottorato di ricerca.

Nel sito di Mazzola sono state riportate alla luce quattro strutture: una absidata, un’altra di forma quadrata, una terza rettangolare e una quarta a pianta circolare. E’ quello l’UNICO LUOGO in cui, in pochi metri quadri, sono presenti TUTTE LE TIPOLOGIE EDILIZIE DELL’VIII SECOLO. E se l’edificio absidato aveva una funzione abitativa, quello quadrato e quello rettangolare venivano utilizzati come officine da un fabbro ferraio. Per trovare strutture simili coeve, bisogna trasferirsi in Eubea, ad OROPOS, dove è stato identificato un quartiere artigianale in cui si svolgevano contemporaneamente sia le attività di produzione metallurgica che figulina. E lì è stata rinvenuta una struttura con pianta absidata. Se ne potrebbe dedurre che alcuni coloni fondatori di Pithekussai arrivassero anche da Oropos. Peraltro, uno spazio adibito all’attività metallurgica si trova anche nel santuario di Apollo Daphnephoros, ad Eretria. Vi si producevano manufatti utili per il tempio.

Tra i reperti presenti nel Museo Archeologico di Pithecusae vi è anche un piccolo PESO pari allo statere euboico, pesato a sua volta da Buchner dopo il rinvenimento. Quel tipo di oggetti veniva usato per la pesatura dei METALLI PREZIOSI, oro e argento, il che supporterebbe il riferimento di STRABONE ai “kruseia”, su cui tanto si è scritto, detto e contraddetto.

Altri reperti significativi sono le tante FIBULE ritrovate nella necropoli. Dalle loro diverse forme, Buchner ricostruì la rete commerciale dei pithecusani e scoprì che  fibule e monili dell’VIII e VII secolo ritrovati in varie parti d’Italia erano stati prodotti a Pithekoussai.

IL QUARTIERE DEI CERAMISTI SOTTO SANTA RESTITUTA

IMG_2766Altro sito unico al di fuori della Grecia è quello ritrovato al di sotto della basilica e della piazza dedicate a Santa Restituta, a partire dai primi anni ’50 del secolo scorso, da DON PIETRO MONTI. Tra i vari reperti e strati che testimoniano mille anni di presenza umana ininterrotta, dall’inizio della colonizzazione greca al periodo altomedievale, vi sono SETTE FORNACI utilizzate dai vasai greci. Dalla più antica dell’VIII secolo a. C., di forma circolare, a quelle di età ellenistica spiegano che a Pithekussai la produzione figulina non venne mai meno, neppure quando la prima colonia aveva perduto potere a favore di Cuma. E si trattava di produzioni di vari oggetti e su larga scala.

Altra caratteristica unica è che nel sito ischitano sono concentrate testimonianze di tutte le fasi di lavorazione della terracotta. Dalle vasche di decantazione dell’argilla (materia prima locale) a quelle di ingrassaggio prevalentemente con sabbia. E la scelta di collocare l’attività figulina in quel luogo è legata alla notevole disponibilità di acqua necessaria per la produzione: proprio sotto via Messer Onofrio fu individuata anni fa una vena d’acqua.

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Tra i tanti reperti ceramici di produzione locale esposti al Museo o negli Scavi di Santa Restituta, Catuogno ha compiuto una selezione utile a sintetizzare la straordinaria abilità e specializzazione dei ceramisti pithecusani, che anche dopo l’VIII secolo, quando erano entrati ormai in produzione altri centri in terraferma, riuscirono a mantenersi all’avanguardia

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nell’innovazione di forme e motivi decorativi, dettando le “MODE” seguite anche altrove.

Particolare attenzione merita il reperto con la più antica firma di vasaio conosciuta: “INOS M’EPOIESE”, Inos mi fece. E quel “fece” segnala che colui che modellò il manufatto provvide anche alla decorazione. D’altronde,

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vari oggetti testimoniano la grande creatività dei vasai pithecusani, che fondevano liberamente forme e decorazioni, spesso rivisitandole, provenienti da diverse zone della Grecia, probabilmente per identificare inconfondibilmente come greci i loro prodotti in un contesto coloniale, rispetto alla popolazione indigena che pure utilizzava quegli oggetti.

Dalle anfore per conservare o commerciare vino, acqua e derrate alimentari agli oggetti di uso domestico; dalle raffinate terracotte architettoniche con innovazioni tecniche applicate soprattutto all’edilizia templare ai cavallini e barche di Pastòla; dai resti di statue sacre ai vasi di ceramica campana a vernice nera di cui Pithekoussai fu uno dei principali centri di produzione. Dulcis in fundo, il più famoso oggetto ceramico di produzione locale, un pezzo unico esposto in tutte le principali mostre dedicate alla Magna Grecia e all’arte dell’antica Grecia. Perchè è non è un  oggetto qualsiasi, il CRATERE DEL NAUFRAGIO. L’anonimo ceramista pithecusano non si limitò a qualche decorazione, ma vi raccontò per immagini la sequenza di un naufragio, con la nave inghiottita dalle onde, un marinaio che cerca di salvarsi aggrappandosi allo scafo, i corpi di altri marinai morti circondati dai pesci, fino alla scena più drammatica di uno squalo che addenta la testa di un altro naufrago. Un pezzo d’arte di assoluto valore storico-artistico. Degno esempio della maestria raggiunta dagli artefici di Pithekoussai, l’”ISOLA DEI VASAI”.

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