Con il professore Giosuè Vezzuto ci lascia un altro pezzo di una generazione che ha fatto il ’900

Sarà brutto non vederlo più, seduto sulla panchina sotto il bassorilievo di Aniellantonio sulla parete dello Spirito Santo, a due passi da casa sua. E, soprattutto, lo sarà non scambiare più con lui impressioni sul presente, accompagnate dai suoi sempre vividi ricordi e racconti del passato. Se n’è andato anche il professore Vezzuto, alla stessa età di mio padre, con cui aveva condiviso un rapporto di stima reciproca – “Vezzuto è un galantuomo”, diceva sempre papà – e di comune giovinezza in una Ischia di cui resta abbastanza poco.

Si ritrovavano sempre con grande affetto, quando si rincontravano in occasione dei ritorni dell’uno e dell’altro sull’isola lasciata da ragazzi, a cui erano rimasti sempre fortemente legati e dove avevano le loro radici. E diverse volte, quando per le difficoltà di entrambi era diventato difficile che si incontrassero, era capitato che cercassero attraverso me riscontri e aggiunte reciproche ai ricordi e alle narrazioni di storie lontane, di cui da giovani erano stati testimoni o di cui erano stati partecipi. Storie, in particolare, dell’ultima guerra, di cui conservavano viva la memoria, con dovizia di dettagli, date, citazioni di fatti e persone.

Negli ultimi anni, il professore si era appassionato a scrivere i suoi ricordi, con la volontà di tramandare le storie isolane legate alla grande Storia che rischiavano di essere dimenticate o di essere stravolte da ricostruzioni approssimative. Con la sua grafia ordinata e minuta, mi aveva affidato tante ricostruzioni puntuali e interessanti, ottimamente scritte, il che mi aveva stupito all’inizio, visto che lui  era stato per buona parte della vita, orgogliosamente, professore di materie scientifiche. E in particolare, in occasione degli anniversari delle date più significative della guerra, quando era a Ischia, il professore non mancava di far arrivare la sua testimonianza. Tutti scritti  pubblicati perlopiù su “Il Golfo Cultura”, dove attiravano ogni volta grande attenzione, sollecitando ricordi e contribuiti di altri anziani testimoni.

Era un piacere ascoltarlo, s’imparava sempre molto dal professore ed era un privilegio vero raccogliere i suoi ragionamenti, le sue valutazioni anche sul presente. Sempre lucidi, gli uni e le altre, e animati dal grande amore per Ischia.

Viveva lontano da anni, Vezzuto, nel Nord dove confessava di non sentirsi pienamente a casa, all’ombra di montagne che alimentavano la nostalgia per il mare e per lo scoglio a cui restava idealmente legato anche a tanti chilometri di distanza. L’amore non gli impediva di osservare e di notare gli aspetti meno edificanti della sua Ischia, ma da persona che aveva sempre riconosciuto e praticato il valore della partecipazione politica attiva - era stato anche consigliere comunale socialista – non si rassegnava al silenzio o all’adattamento acritico. Anzi, quand’era sull’isola non trascurava di far sentire la sua voce. Un esempio, anche da quel punto di vista.

Ci teneva a tornare a Ischia durante la bella stagione, a più riprese, dalla primavera all’autunno. Con quale piacere, quasi sollievo, rispondeva alla classica domanda, “quanto resta stavolta?”, indicando una permanenza lunga di diverse settimane. Per aggiungere subito dopo già la data del successivo ritorno. Come accade a chi vive la lontananza fisica dall’isola con un certo sottaciuto e più o meno inconscio disagio, che solo la sicurezza del ritorno rende sopportabile. L’ultima volta che lo avevo visto con le grucce camminare a fatica, ma con ostinata determinazione, sui basoli del borgo-casa, ci aveva tenuto a specificare: “Devo darmi da fare a camminare, anche a fatica, sennò non potrò più venire a Ischia”. E in quella frase e nella fatica di quei passi era sintetizzato tutto l’amore per la sua terra, che si portava dentro nella città del nord mai diventata “sua”.

Tra poco sarebbe stata la stagione giusta per il ritorno. Sarà, la sua, un’altra assenza che pesa. Come il venir meno di un patrimonio individuale e collettivo di memoria e memorie.. E poi la cordialità, la gentilezza, la grande umanità del professore. Una generazione ci sta lasciando. E la consapevolezza di questa perdita giustifica tristezza e smarrimento.

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