Non solo greci a Pithekoussai: il ruolo di orientali e indigeni in una società pacifica e inclusiva

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Foto Qui Ischia

Oggi sarebbero considerati dei “migranti economici”, in movimento da una sponda all’altra del Mediterraneo, in cerca di nuove e più favorevoli opportunità di vita. I primi ad iniziare un nuovo movimento migratorio verso Occidente, destinato a portare cambiamenti profondi nelle società di provenienza e soprattutto di arrivo, rivoluzionando la geografia umana tra l’Egeo e il Tirreno. Dove si insediarono, a cominciare da un’isola posta più a nord di tutti i siti che avrebbero scelto in seguito, man mano che si estendeva il loro controllo sui nuovi territori. Già abitati da altre genti, con lingue, abitudini e credenze religiose diverse. Incontri di civiltà che ne avrebbero prodotta una nuova. Incontri di uomini e donne generatori di una società multietnica, capace di armonizzare pacificamente il contributo di tutti. Questa fu la Magna Grecia, fin dalla sua alba a Pithekoussai, dove nell’VIII secolo approdò un folto gruppo di greci provenienti dall’Eubea. Ma anche, in numero non trascurabile, uomini giunti da terre ancora più lontane, sulla sponda orientale del mare comune, fenici perlopiù. E tutti loro nella nuova patria trovarono altri abitanti. Gente di stirpe osca, che non li contrastò.

La STORIA DI PITHEKOUSSAI è anche la STORIA DI QUESTA COABITAZIONE, ovvero delle dinamiche sociali che s’innescarono per effetto dell’insediamento di GRECI e ORIENTALI dove già vivevano altri. E di “INTEGRAZIONE E MARGINALITA’ NEL MONDO ANTICO” ha trattato il terzo incontro del SEMINARIO DI ARCHEOLOGIA, promosso dal CENTRO STUDI SULL’ISOLA D’ISCHIA e tenuto da MARIANGELA CATUOGNO.

L’archeologia negli anni recenti ha preso ad interessarsi sempre più intensamente del contesto sociale in cui si svolgeva la vita di individui e comunità nelle epoche antiche. Ed è tenendo conto di quell’elemento e della sua complessità, che si studiano oggi i reperti giunti dal passato. Un approccio fondamentale anche sulla nostra isola che, per le peculiarità della sua colonizzazione nell’VIII secolo a.C. e per il suo ruolo nella nascita della Magna Grecia, si è rivelata un osservatorio speciale.

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Foto Qui Ischia

Come ha spiegato Catuogno, sono gli oggetti rinvenuti nella necropoli che hanno consentito una lettura dell’organizzazione sociale e una possibile ricostruzione dei rapporti tra le diverse etnie presenti a Pithekoussai. Dove i greci assunsero subito un ruolo prevalente, che si evince dalla netta affermazione del loro modo di vivere, dei loro usi, della loro lingua e religione. E anche del loro modo di seppellire i morti. Questo, anzi, è un elemento fortemente indicativo della “GRECITA’” di Pithekoussai, a cui si adeguarono anche gli abitanti di altre origini. Che portarono, tuttavia, seppur in modo forse più discreto, un loro contributo specifico all’evoluzione della nuova società comune.

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A dimostrare queste altre PRESENZE NON INDIGENE nella Pithekussai greca ci sono diversi REPERTI, esposti nel Museo di Villa Arbusto. Come le grandi anfore collocate al centro di una delle prime sale, riconosciute come fenicie anche per tracce al loro interno di vini orientali. In quelle anfore, rotte e non più utilizzabili per i commerci, vennero seppelliti com’era nell’uso greco neonati e bambini molto piccoli.  E a Pithekoussai sono riemersi anche oggetti di chiarissima origine fenicia, appartenenti alla cosiddetta “red slip ware” dal caratteristico colore rosso: piatti, usati per la prima volta in un ambiente greco, dove tradizionalmente si mangiava nelle ciotole. Oggetti con cui probabilmente gli orientali tendevano a ostentare il loro status nella nuova città, dove prese piede peraltro una produzione di piatti di forma euboica, ma con decorazioni nuove e originali di creazione pithecusana. Un perfetto mix di tecnologie e conoscenze, esemplare dei progressi prodotti anche nella vita quotidiana dall’incontro e dalla contaminazione reciproca tra civiltà diverse. Come dimostra anche la diffusione tra i fenici pithecusani dell’ideologia del simposio di matrice greca, con utilizzo di ceramiche nei banchetti rituali.

I MATRIMONI MISTI

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Foto Qui Ischia

La coesistenza tra culture si evince dai corredi di tombe dell’VIII secolo che rivelano l’esistenza di matrimoni misti tra esponenti delle etnie presenti sull’isola. Ne è un esempio la tomba 545, dove è stata trovata una donna ai cui piedi, in un’anfora, era sepolto un bimbo, forse una madre con il suo figlioletto. Ad accompagnarli nell’aldilà un set completo da banchetto, usato per il rituale funerario, nel quale si beveva vino, che  i fenici insegnarono ai greci a speziare. Nel corredo, anche un unguentario fenicio e una FIBULA ITALICA, lunga, che suggerisce l’origine indigena della donna. E statuine fenicie ed egizie con numerosi scarabei, come corredo del piccolo, segnalano che doveva trattarsi di un matrimonio misto, tra una INDIGENA e un uomo ORIENTALE, perchè è evidenziata l’origine fenicia del bimbo. Ma il RITO della sepoltura è assolutamente GRECO.

Nella tomba 323, di una donna, c’è il set da banchetto, con tutti gli oggetti della libagione rituale  alla maniera dei greci, a, insieme a delle coppette, i monili della defunta sono  di fattura INDIGENA. Dunque, lei doveva essere tale, ma il marito era sicuramente un GRECO.

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Descritta da BUCHNER in ogni particolare, la sepoltura femminile della tomba 944  propone una varietà di oggetti delle più varie provenienze. Ma gli oggetti personali della defunta sono tutti di origine italica e denotano il suo rango elevato. Peraltro, anche i reperti orientali e greci sono di lusso, ma Buchner scelse di raccontare questo corredo perché offre una testimonianza del collegamento tra oriente e occidente agli albori di Pithekoussai

C’era un fanciullo sepolto nella tomba 575, a cui dedicò le sue attenzioni un grande archeologo semitico come GARBINI, perchè alcuni oggetti recano simboli orientali e perfino una formula di augurio per l’aldilà, che identifica lo scomparso come figlio di orientali.

Il fatto che defunti di varie etnie sono sepolti nelle stesse aree della necropoli dimostra la coesistenza pacifica tra loro - fenici, aramaici, italici e greci – e la comune integrazione nella ritualità greca.

Se questo valeva per persone di rango elevato, per quelle di rango inferiore vigevano regole diverse, che ne sottolineavano la diversità etnica, rispetto a quella prevalente. Per i SERVI non vi erano casse lignee, come per i defunti di ceti superiori, ma venivano deposti nella NUDA  TERRA, perdipiù in posizione rannicchiata, com’era comune fra gli indigeni e le popolazioni affini in terraferma (simili sepolture a Pontecagnano). Pur avendo diritto alla sepoltura nelle aree della necropoli assegnate alle famiglie di cui erano al servizio, evidentemente quel tipo di deposizione voleva evidenziare in modo inequivocabile, anche per i posteri, la loro origine indigena.

 

L’UOMO DAI CEPPI

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Nella necropoli, in posizione marginale rispetto alle altre, c’è una tomba il cui contenuto è stato esaminato e studiato per poi essere pubblicato solo pochi anni fa, tra il 2013 e il 2014. Al suo interno vi era un UOMO: con lui uno scarabeo egizio di steatite e, appoggiato sul torace, un coltello a doppia lama dall’impugnatura lavorata in osso e avorio o ambra, molto rovinato dalle fumarole sottostanti l’area sepolcrale pithecusana. Oggetti di valore, di produzione tra la Puglia e la Basilicata, indicatori di un RANGO ELEVATO. E di una ORIGINE INDIGENA. Ma ancora più particolare è la presenza di CEPPI che gli serravano i piedi.

Non ci sono altri esempi tra le tombe conosciute di Pithekoussai, ma ne sono stati rinvenuti a Creta. L’interpretazione fornita nel 2014 dall’allora sovrintendente Cinquantaquattro è che possa trattarsi di un sacrificio rituale di un capo indigeno, seppellito con quelle modalità per comunicarlo ai posteri. Un’ipotesi che si presta a dubbi e obiezioni, che Catuogno ha esplicitato, soprattutto alla luce dell’inclusività mostrata nei confronti degli indigeni e degli orientali da parte dei greci. Ma allora, perché fu imprigionato e messo a morte, il capo locale? Si praticavano davvero SACRIFICI UMANI nella nuova colonia?

Allo stato delle conoscenze, non è possibile una risposta certa. Anche perchè lo studio della necropoli è assai parziale, visto che delle 1200 tombe riportate alla luce da Buchner, un decimo della necropoli, ne sono state studiate e pubblicate solo poco più di 700. Dunque, il prosieguo delle ricerche anche sui materiali già in deposito potrebbe fornire ulteriori, preziose informazioni. Magari per chiarire il “mistero” dell’uomo dai ceppi, in netta dissonanza rispetto alle caratteristiche pacifiche della colonizzazione greca e della successiva integrazione con le altre etnie. A cominciare dagli abitatori preesistenti.

 

 

 

 

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