Antonio Macrì, atmosfere del silenzio

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Foto Qui Ischia

Il segnale lungo, profondo della sirena rompe improvvisamente il silenzio, annunciando l’arrivo e la partenza di un’altra nave. Il porto è a due passi, con il suo movimento incessante, il viavai caotico di uomini e mezzi di ogni tipo. Ma anche con i suoi angoli più preziosi di rara bellezza, che si rincorrono da una riva all’altra dell’ampio bacino. La collina di San Pietro, sormontata dalla bassa costruzione dell’Acquario, emerge con i suoi contorni appena distinguibili dalla distesa azzurrina del mare, che si fonde con il cielo in un’atmosfera rarefatta, delicata, lievemente malinconica. Il quadro, finito da poco, è l’unico visibile tra i tanti appoggiati al muro, che si mostrano solo con l’intelaiatura di legno e la faccia posteriore grigiastra della tela.

“Quelli preferisco non farli vedere ancora, così saranno una sorpresa quando inaugurerò la mia prossima mostra”. Il volto bonario di ANTONIO MACRI’ si illumina di un fugace sorriso nella vivida penombra dello studio ricavato nell’ala più tranquilla del suo albergo di via Jasolino. In questa strada che costeggia la banchina del porto è nato e vive da sempre. Qui Incontrava quasi ogni giorno LUIGI DE ANGELIS, “che veniva a dipingere: io guardavo lui, lui guardava me”. Macrì, infatti, aveva già preso dimestichezza con i colori: “Ho cominciato a quattordici, quindici anni, istintivamente non saprei dire come e perché è nato questo desiderio di accostarmi prima al disegno, poi all’acquerello e all’olio”. Comunque, l’anziano pittore seguiva i suoi progetti incoraggiandolo”. “Mi diceva sempre – ricorda – “Sei un bravo ragazzo, hai talento, continua!”. Tra noi c’era un bel rapporto umano, eravamo amici, ci rispettavamo l’un l’altro e poi si conoscevano anche le nostre famiglie”.

Eppure, le opere del grande De Angelis non lo interessavano troppo: “Da ragazzo non capivo la sua pittura, poi mi sono reso conto di quanto avevo perduto e oggi amo moltissimo De Angelis, tant’è vero che ho comprato anche qualche sua opera”.

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Foto Qui Ischia

Intensa fu anche la sua frequentazione, qualche anno dopo, con alcuni famosi artisti stranieri: “Avevo contatti molto da vicino con Gilles, Purmann e Lèlo Fiaux che, appena arrivati a Ischia, vennero ad abitare da me, che allora avevo una locanda sul porto e il ristorante qui avanti. Il loro primo approccio con l’isola fu in questo posto, fui io forse il primo a conoscerli, solo più tardi si trasferirono a Forio e a Sant’Angelo. Ma  non posso dire che mi abbiano influenzato come pittore, io a quell’epoca già dipingevo da sei, sette anni. Ero un istintivo, facevo tutto per conto mio”.

Le prime esperienze artistiche traevano origine dai continui spunti che la realtà circostante proponeva. Il giovanissimo Macrì prendeva il cavalletto e “andavo fuori a dipingere quel che mi piaceva. Facevo una pittura post-impressionista, en plein air, all’aria aperta. Mi ispiravo a tutto ciò che stava attorno a me, al paesaggio. In questo l’influenza di Ischia è stata certamente importante.

Se la natura dell’isola lo attirava irresistibilmente, non meno interesse suscitavano in lui le figure. Fino al punto che un’intera fase della sua attività pittorica, agli inizi, fu dedicata quasi interamente ai ritratti. “Realizzavo più ritratti che altro, dai diciannove anni ai trenta, ne avrò dipinti alcune centinaia. Dipingevo specialmente le persone di famiglia, i miei genitori e poi mia moglie, i miei figli, gli amici. Poi, è arrivato il momento delle nature morte, che ha lasciato di nuovo il posto ai paesaggi, anche se non più solo ischitani”.

Come molti altri artisti anche Antonio Macrì ha subito il fascino intrigante, coinvolgente di Parigi, che visita periodicamente da molti anni. Ad averlo attratto è anche la profonda diversità della metropoli francese rispetto all’isola. “Quando decido di andare in un posto – dice – evito sempre le isole o i paesi che possano somigliare a Ischia, per questo ho scelto Parigi”. Due modi opposti, dunque, che si alleano ne suggerirgli idee per le sue creazioni e che sono entrambi protagonisti della più recente produzione di olii.

“Mi sono servito dell’acquerello per un lungo periodo – spiega il maestro – poi  ho sentito di doverlo lasciare per passare all’olio, con il quale sto dipingendo ormai da quasi quindici anni. Non mi sono mai domandato il perchè di certe scelte tecniche, sono venute in modo istintivo e, quindi, non so cosa mi capiterà in seguito”. E l’istinto sembra guidare costantemente la mano e il cervello dell’artista, che non lavora con continuità quotidiana: “Mi piacerebbe, ma non sempre so quello che debbo fare. Io mi metto davanti a una tela quando desidero creare qualcosa, quando sento  che questo qualcosa mi ha chiamato”.

Ciò che fa scattare la necessità di dipingere è sempre un’emozione profonda: “L’ispirazione la trovo solo in alcune giornate che mi offrono i colori che mi emozionano, che sento. Una giornata non è mai uguale a un’altra”. Come il MARE “in cui c’è sempre qualcosa di diverso. Vado alla Pagoda, fuori alla spiaggia, ad osservarlo in un’ora in cui c’è più poesia. Certo – aggiunge – Ischia è cambiata, però riesco sempre a trovarci ciò che mi serve, ciò di cui ho bisogno”.

Macrì, che una volta dipingeva all’esterno, ora ha cambiato completamente le sue abitudini: “Quando c’è una scena che mi colpisce, colori che mi piacciono, atmosfere che mi attirano, li metto dentro e poi, a memoria, nello studio, faccio la composizione, cercando di ricordarmi, magari aiutandomi con degli schizzi e note che scrivo vicino. C’è un lavoro di preparazione, ma soprattutto di memoria”.

E proprio il filtro straordinario della memoria, nel far riemergere i ricordi e le emozioni, li libera e li arricchisce di una luminosità nuova che tutto permea, ricopre, protegge e che, come per magia, invade la tela. Così, tra quelle pareti familiari che lo difendono dalla luce violenta del sole, donandogli la penombra che predilige, grazie ad un uso originalissimo dei colori, crea una sua luce, che i critici hanno definito “CHIARISMO”. “Questo chiarismo – racconta – è nato quasi quattordici anni fa. All’inizio mi servivo di colori più decisi, poi ho avuto una fase in cui facevo solo quadri molto scuri: è stata una parentesi della mia vita, durata un paio d’anni. In seguito, la mia pittura si è andata schiarendo progressivamente, fino ai risultati attuali”.

Delle mostre dice che  “sono piacevoli ed emozionanti. Prepararvisi richiede molto impegno, perchè bisogna fare più quadri per avere la possibilità di scegliere i migliori: si vedono sempre quelli che hanno più qualità, è all’armonia dell’insieme che si deve guardare”.  Quell’armonia degli elementi che, irraggiungibile nella realtà, torna possibile nel ricordo dell’artista, che la ricompone, regalandola ai nostri sguardi come una nuova creazione. Un universo mai percepito, che per la prima volta si dischiude dinanzi a noi.

(Tratto da “Dieci artisti isolani”, 1995)

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