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Il messaggio del Vescovo Pietro per la Pasqua 2018
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7 anni ago |
Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Ischia,
nell’apprestarmi a scrivere per voi il consueto Messaggio per la Pasqua, ho davanti agli occhi il vangelo della Veglia Pasquale di quest’anno. È il racconto della Risurrezione di Gesù narrato dall’evangelista Marco (16, 1- 8). Lo leggo e lo rileggo più volte e mi sorprende, ogni volta di più. Ciò che mi colpisce è la sua sobrietà. Poche parole per dire la notizia più importante del mondo, per raccontare l’unica veramente interessante, la sola capace di dare senso ad ogni altra notizia, ad ogni fatto e avvenimento: “È risorto, non è qui”! Poche espressioni e così scarne da richiedere un’integrazione, aggiunta in un secondo momento (16, 9-20), con l’intenzione di dare un rapido riassunto delle apparizioni del Risorto e offrire una conclusione più conveniente e appropriata a un Vangelo che, come sappiamo, in ordine di tempo fu il primo a essere scritto.
Sì, il Vangelo di Marco per ciò che riguarda l’evento della Risurrezione è davvero molto asciutto. Pochi versetti – otto in tutto – per raccontare l’andata delle donne al sepolcro, la preoccupazione per come fare a rotolare via la pietra, lo stupore per aver trovato la tomba aperta e la paura, dinanzi a quel giovane, seduto sulla destra, le cui parole, almeno in un primo momento, saranno, sempre per timore, disattese: “non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite”, precisa Marco nel tentativo di giustificarle. Tra l’altro, bisogna ammetterlo: un vangelo che termina così, un po’ di imbarazzo, in chi legge, lo provoca; oggi come allora. L’aggiunta a posteriori, proprio per il tono imbarazzante e, comunque, per nulla edificante, fu, pertanto, più che conveniente, sicuramente necessaria. Sarà anche per questo motivo che nella proclamazione del testo nella Veglia Pasquale l’ultimo versetto, l’ottavo, – i più attenti lo avranno notato – è, ahimè, volutamente omesso.
Erano andate a ungerlo. Come si faceva allora con i morti. Erano andate di buon mattino, anzi al levar del sole. Forse per non essere viste; o forse perché loro, dopo la festa del sabato, non vedevano l’ora di arrivare al sepolcro per fissare, per l’ultima volta, sebbene ormai cadavere, il loro maestro Gesù e compiere così un estremo gesto di tenerezza e di pietà verso chi di tenerezza e di pietà ne aveva avute a iosa e aveva acceso in loro la vita e la speranza. Solo, però, per un tempo. Perché nel cuore di quelle donne – come pure in quello degli altri discepoli – la vita e la speranza ora erano morte per davvero! Sì, erano morte e sepolte, insieme a lui! Li aveva incantati, ammaliati, tutti; ma ora tutto era finito. L’illusione era cessata. Con la sua morte, era sceso il silenzio. Su di lui e su di loro.
Solo una preoccupazione: chi le avrebbe aiutate a far rotolare quella pietra molto grande, tanto grande come il buio e il dolore che provavano in quel momento? Terribilmente grande come la rabbia e lo sconcerto che aveva suscitato in loro quella morte? In verità le domande erano altre e molto più pesanti di quella pietra; ed erano tante. Ma le donne sapevano che ad esse non avrebbero trovato risposta e, allora – avranno pensato – meglio non porsele e… andare avanti, o, più probabilmente – dopo aver reso onore all’Amico morto – tornare indietro.
Oltre alla sobrietà di un racconto ridotto al minimo, mi colpisce anche il tono: lo stile secco, asciutto, quasi dimesso della narrazione. Niente parole ridondanti, nessun terremoto o altro effetto sorprendente; nessun “effetto speciale” o manifestazione clamorosa; e di angeli, fuori del sepolcro, neppure a parlarne. Soltanto e semplicemente un giovane, sia pure vestito d’una veste bianca. Chi sarà stato quel giovane è tutto da scoprire. Molti concordano nel sottolineare che si tratti dello stesso giovane presente nel Getsemani (14, 50-52). Qualcuno ritiene che sia lo stesso evangelista; altri pensano che sia proprio Gesù. Al di là di tutto, del giovane mi sembra però importante sottolineare ciò che dice: per prima cosa quel “non abbiate paura!”; poi l’annuncio che il Crocifisso “è risorto” e, infine, l’appello: “andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’”. Due inviti con al centro la Bella Notizia: dunque tre Parole. In esse scorgo tutta la missione della Chiesa: annunciare Cristo morto e risorto; aiutare la gente a non aver paura – quante volte abbiamo fatto proprio il contrario! – ; e, infine, indicare a tutti come fare per incontrarlo. Sì, perché l’invito ad andare in Galilea, mi sembra significhi dire che il Risorto lo si può incontrare, ma non nel sepolcro vuoto, bensì nella Sua Parola, fidandoci di Lui, accogliendo il Suo Vangelo e, soprattutto, vivendolo stando là dove Lui ci ha messo, dove oggi siamo.
Quel giovane – anche io mi domando – chi è? A me, però, più della ricerca della sua precisa identità, colpisce soprattutto proprio il fatto che sia “giovane”. E mi dico: per annunciare il Vangelo forse bisogna essere giovani; occorre la purezza dei giovani, la loro semplicità, forse anche la loro incoscienza, la capacità di credere e di lottare per un ideale, la voglia di spendersi per qualcosa che vale. E penso alla Chiesa; a Papa Francesco e al prossimo Sinodo. Ma anche a me e ai preti e a quanti sono chiamati ad annunciare il Vangelo; penso ai nostri cristiani impegnati e, più in generale, a ogni battezzato. E mi domando: riusciremo ad annunciare il Vangelo a questo mondo? Riusciremo a portarlo in particolare ai nostri giovani e a tanti di loro che, anche tra noi, già sono vecchi dentro? Riusciremo a farli ritornare giovani?
La parola “giovane” però, spontaneamente, mi fa pensare anche a tutto ciò che è debole e fragile. E penso ai giovani di oggi; ma anche a quelli di ieri e di sempre: coraggiosi e pieni di paure, forti ma pure tanto deboli, dubbiosi ma determinati, instabili anche se risoluti, tenaci e allo stesso tempo arrendevoli… quasi un “ossimoro”! E mi dico: così sono io; così sei tu. Così è anche la Chiesa! E mi ricordo che il Signore il Vangelo lo ha affidato a uomini e donne fragili, deboli, incostanti, incoerenti… peccatori: come i discepoli increduli o le donne che fuggono dal sepolcro. Proprio come me e come te. E mi viene alla mente la parola di Paolo: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1 Cor 1, 27).
Sì, più mi riconoscerò debole, più Dio manifesterà in me la potenza della Sua risurrezione (cf. 2 Cor 12, 9). Il Signore metta anche in noi il fuoco della missione e, benché deboli, ci renda, come Maria, Chiesa giovane, libera, capace di correre, Chiesa in cammino, mossa dall’Amore. Santa Pasqua di Risurrezione!
Il tuo vescovo + Pietro