Quei nove anni trascorsi a Ischia dal giovane precettore Giovan Battista Vico

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Da domani sarà al centro della programmazione del “Maggio dei Monumenti” 2018. Un omaggio che Napoli tributa ad uno dei suoi più grandi figli nel 350° della nascita. E a lui, Giovan Battista Vico, è intitolata la strada che dal centro di Ischia Ponte (lì dov’era anticamente la piazza, cuore del Borgo di Celsa che si andava espandendo) sale fino a San Michele, attraversando una zona abitata fin dall’età romana, il cosiddetto CILENTO. Non un caso, il nome di quell’arteria che, ormai fiancheggiata da case,  qualche secolo fa s’inerpicava attraverso campi coltivati, sui quali sorgevano poche ville e casali. Uno di questi ultimi, al centro di un vasto appezzamento di terreno coltivato a vite e alberi da frutta, era stato acquisito al patrimonio della chiesa ischitana da monsignor GIOVANNI ANTONIO DE VECCHI, che era stato Vescovo dell’isola dal 1663 al 1672. Di quella proprietà tornò ad occuparsi il suo successore, monsignor GEROLAMO ROCCA, divenuto pastore della Diocesi isclana nel 1673. Il nuovo vescovo, tra i vari interventi di conservazione che promosse a beneficio di vari edifici della Chiesa, non trascurò di sistemare anche quella proprietà rurale, alla quale, secondo il libro delle Conclusioni capitolari, fu lui a dare il nome di “Cilento”, volendo così ricordare la sua terra natale, dove aveva una baronia.

Una tesi “storica” questa che, sebbene  consolidata, che è stata messa in discussione dagli accurati studi condotti  da don Camillo d’Ambra per il suo volume “Ischia tra fede e cultura”. Nell’occuparsi del vescovo Rocca, d’Ambra sottolinea come il presule fosse calabrese di nascita, specificamente di Catanzaro e non del Cilento, e che  peraltro la denominazione di quella contrada isolana fosse preesistente e di diversi decenni al suo arrivo sulla nostra isola.

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L’opera di monsignor Rocca – Foto Qui Ischia

Purtuttavia, rimessi i puntini sulle i di qualche verità storica, un legame tra il Cilento e la famiglia del vescovo calabrese oggettivamente esisteva. Ed è anche un legame che ha avuto un certo peso nella vita di GIOVAN  BATTISTA VICO, che si è intrecciata alla nostra isola proprio grazie a monsignor Rocca, suo benefattore e mecenate. Nel Cilento, infatti, esisteva davvero una baronia acquistata dal fratello maggiore del Vescovo, Giovanni, nel 1660. Si trattava del castello di Vatolla, che per una serie di tragiche vicissitudini familiari, nel periodo in cui il presule svolgeva la sua missione ad Ischia, era nella disponibilità di un altro suo fratello, Domenico. Costui aveva sposato la vedova di Giovanni, Chiara, e con lei si era stabilito a Casamicciola, dove avevano avuto dei figli, che crebbero sull’isola e vi rimasero  anche dopo che il loro congiunto Vescovo si era trasferito altrove.

Durante il suo periodo ischitano, monsignor Rocca si recava abbastanza spesso nella capitale, dove frequentava varie biblioteche per i suoi studi. E fu in occasione di quelle sue trasferte cittadine che gli capitò più volte di notare presso una libreria un giovane sempre immerso nella lettura. Incuriosito, s’informò su di lui e apprese che si trattava di un giovane studioso con scarsi mezzi per coltivare la sua passione per la conoscenza.

Quel giovane si chiamava Giovan Battista Vico, era nato a Napoli, in via San Biagio dei Librai nel 1668, terz’ultimo degli otto figli di un libraio poverissimo. A segnare la sua infanzia, però, non era stata solo la povertà, ma anche un terribile incidente che a sette anni aveva minacciato di privarlo delle sue facoltà mentali. Per fortuna, il peggio era stato superato, ma da allora gli era rimasto un fisico gracile e piuttosto cagionevole. Il ragazzino, assetato di sapere, aveva  frequentato la scuola, ma soprattutto aveva studiato da autodidatta, costruendosi una solida cultura. Anche giuridica, benchè avesse seguito solo poche lezioni all’università. Abbastanza da consentirgli di difendere in una causa con successo  il padre, che avrebbe voluto vederlo avvocato. Giovan Battista, invece, aveva altri interessi e altri sogni. Ma non la possibilità economica di coltivarli.

IMG_6226Fu allora che incontrò per la prima volta monsignor Rocca. Il Vescovo, deciso a sostenere quell’intelligenza, gli propose di diventare PRECETTORE dei suoi nipoti, i figli del fratello Domenico. Così, Giovan Battista seguì il presule ad Ischia e iniziò nel 1686 la sua attività presso la famiglia Rocca, che sarebbe proseguita con ottimi risultati per NOVE ANNI. Durante i quali non solo ebbe la possibilità di mantenersi, ma, cosa ancora più importante e decisiva per il suo futuro, poté usufruire liberamente della ricca biblioteca della famiglia e di altre opportunità di studio, che altrimenti la sua condizione di origine gli avrebbe negato. E d’estate, con l’intera famiglia, Vico si trasferiva nella proprietà di Vatolla, nel Cilento, dove trovava giovamento anche la sua salute sempre piuttosto malferma.

Le biografie di Vico fanno puntualmente riferimento, oltre che a Napoli, la sua città dove trascorse gran parte della vita, proprio al castello cilentano, sottolineando che lì iniziò a scrivere e ad elaborare le sue teorie. Ma ovviamente non viene trascurato il rapporto determinante con la famiglia Rocca, che rappresentò la vera svolta della sua vita. Segnata, anche se le ricostruzioni correnti spesso lo omettono, proprio da quel lungo periodo trascorso alle dipendenze dei Rocca  sull’isola d’Ischia, dove la famiglia, e dunque lui, risiedevano per buona parte dell’anno. Ciò che induce a ritenere, fuori da tentazioni campanilistiche, che fu proprio quello di Ischia, più che quello di Vatolla, il contesto nel quale il giovane Vico cominciò quel personale itinerario di studio e di elaborazione che culminerà nei “Principi di una scienza nuova”, la sua opera fondamentale.

Sull’isola, con i Rocca, rimase fino al 1695. Quattro anni più tardi sarebbe risultato vincitore della cattedra di eloquenza presso l’Università di Napoli, la città che ora giustamente gli renderà onore. Ma anche Ischia ha motivo di ricordare con giusto orgoglio quegli anni decisivi nella formazione intellettuale di uno dei massimi esponenti  del pensiero filosofico di ogni tempo.

 

 

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