Quell’VIII secolo della nascita di Pithecussai e di Roma, l’incipit di un nuovo mondo

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Foto Qui Ischia

E’ stata la prima data della storia che ho imparato. Una data indelebile nella mente dal primo anno di scuola, il 21 aprile, come un compleanno di famiglia che non si può dimenticare né ignorare. In quel giorno speciale, il NATALE DI ROMA,  si celebra orgogliosamente l’antichità della Città Eterna, segnata dal quel 753 a. C.  a cui la frequentazione con il latino mi induce ancora oggi a collegare automaticamente la classica specificazione “ab Urbe condita”. Tre parole che la prospettano come l’inizio della Storia e che, almeno in quel giorno dell’anno, la restituivano fin da piccoli come tale anche a noi, nati ventotto secoli dopo nella città del Colosseo, che di date importanti nella vita avremmo dovuto memorizzarne tante altre ancora. Per dimenticarle poi in gran parte, col passare degli anni. Ma quella no, mai, nella sua completezza di giorno, mese e anno.

2771 anni sono passati da quel 753 a.C. che è diventato spartiacque tra un prima e un dopo. Di sicuro, non fu in quel preciso giorno di aprile che Romolo tracciò il solco identificato dal mito come l’atto fondativo della nuova città. Così come neppure l’anno è certificato dalla storia con riscontri e prove inattaccabili. Lo studio dell’epoca arcaica è in continuo divenire, soggetto a verifiche e revisioni man mano che la ricerca archeologica approfondisce l’analisi dei siti e riporta alla luce strutture e reperti sconosciuti anche nelle aree che si ritenevano più esplorate. Del resto, negli ultimi anni, incoraggiata da scoperte importantissime, l’archeologia ha concentrato l’attenzione proprio sull’insediamento più antico, le cui testimonianze stanno offrendo riscontri tanto inaspettati quanto affascinanti alla narrazione letteraria dell’origine dell’Urbe. E al ruolo fondamentale dell’VIII secolo nella storia della Penisola e del Mediterraneo anche attraverso l’ascesa della città sul Tevere.

Se è probabile che nei secoli precedenti fossero già sorti diversi centri abitati sui famosi sete colli e sulle altre più modeste alture vicine, sfruttandone le caratteristiche favorevoli alla difesa, insieme alla prossimità del fiume e alla relativa vicinanza del mare, il processo di integrazione fra quei distinti villaggi che portò ad una nuova città, risale all’VIII secolo. Quando Roma si affermò forse dapprima come “EMPORION”, sfruttando la sua posizione geografica per intrattenere intensi scambi commerciali con altre popolazioni nei territori circostanti e lungo le vie di collegamento con le altre regioni della Penisola. Dunque, oltre agli altri popoli dell’antico Lazio, gli Etruschi a nord e, verso sud, i GRECI di origine EUBOICA che avevano cominciato a mettere radici in Campania.

Fu un secolo di grandi novità, quell’VIII. E non solo per la nascita di Roma, che pure per ciò che avrebbe provocato nella storia e per quanto ha significato fino ai giorni nostri, può essere considerata la più rilevante. In quel secolo era iniziata anche la colonizzazione greca in Occidente, madre della MAGNA GRECIA, realtà di enorme rilevanza economica, sociale e culturale. Con cui dovette misurarsi anche Roma, che molto guadagnò dall’incontro/scambio con la cultura greca, favorito proprio dalla presenza nell’Italia meridionale dei discendenti eredi dei coloni partiti dall’Ellade.

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Foto Qui Ischia

In quel 753 a.C. quando, secondo il mito e forse la storia, Romolo fondò la sua città sulla riva sinistra del Tevere, su un’isola posta più a sud, nel Mar Tirreno, era già sorta  una cittadella greca sulla costa davanti alla terraferma ed erano seguiti altri insediamenti minori sparsi sugli altri versanti, a segnare il pieno controllo di quel territorio insulare da parte dei coloni provenienti dalle città di Calcide ed Eretria nella grande isola di Eubea. Quella cittadella greca e l’intera isola tutt’intorno avevano presso il nome di PITHECUSSAI ed erano  il più occidentale avamposto della civiltà greca al di fuori dalla madrepatria.

In quella metà del secolo che vide la nascita di Roma, Pithecussai era già solido punto di riferimento sulle rotte tra le varie sponde del Mediterraneo e intratteneva solide relazioni commerciali con la madrepatria, con l’altra fiorente colonia euboica posta alla foce dell’Oronte in Libano e, in Italia, con gli Etruschi. Del resto, se un folto gruppo di uomini si era deciso a trasferirsi da Eubea e aveva scelto proprio quell’isola verdeggiante da popolare, era stato perchè da lì, così a nord rispetto alle zone solitamente frequentate durante i lunghi viaggi verso ovest, era più facile raggiungere i territori etruschi con cui intrattenevano già da tempo scambi tanto fruttuosi. E soprattutto la grande isola etrusca dell’Elba, dove si facevano ottimi affari e ci si poteva rifornire di ferro, da vendere come materia prima negli altri porti greci e orientali o da lavorare, per trasformarlo in prodotti finiti, nelle fonderie che sorgevano sulla collinetta alle spalle dell’approdo e del centro abitato costiero di Pithecussai.

In quegli anni ’50 dell’VIII secolo, nel centro di Pithecussai erano già in piena attività le fornaci dei vasai, che avevano trasferito sulla nuova isola un’industria caratteristica della terra d’origine, portandosi dietro insieme alle classiche zolle di terra e al fuoco sacro anche le competenze e le tecnologie per la lavorazione dell’argilla, di cui avevano trovato ricchi giacimenti sul posto. In quel periodo, erano di uso quotidiano nelle case pithecusane delle coppe (kotyle) con motivi geometrici in voga in tutta l’Ellade, ma originari di Corinto. Se in alcuni casi erano importate dalla Grecia, in gran parte le coppe usate a Pithecussai – come gli altri oggetti casalinghi di creta – erano prodotte in città, copiando le decorazioni  geometriche corinzie. Di certo, non potevano immaginare, allora, che grazie a quei particolari decori, quasi tremila anni dopo, gli archeologi avrebbero potuto datare esattamente l’epoca di produzione di quelle coppe del tipo Aetos 666 e, dunque, la contemporanea esistenza di Pithecussai. E dedurne che i coloni greci fossero sbarcati sulla nuova isola almeno una ventina d’anni prima, dunque intorno al 770 a. C. o giù di lì. Insomma, un po’ prima della fondazione di Roma, almeno nella versione convenzionale a cui facciamo riferimento.

Da quei primi coloni greci insediatisi a Pithecussai, gli Etruschi impararono un altro modo di allevare le viti e la coltivazione dell’ulivo. E appresero l’uso della ruota per realizzare i vasi nella cui produzione anch’essi eccellevano. Conoscenze che il mondo etrusco trasmise anche agli altri popoli vicini, a cominciare da quelli coevi dell’antico Lazio, da cui finirono anche a Roma. Ma l’acquisizione più importante fu quella dell’alfabeto calcidese che era in uso a Pithecussai e che gli Etruschi adottarono, con una serie di modifiche necessarie ad adattarlo alla loro lingua, che prima non aveva una forma scritta. E quando, con l’ascesa dei re etruschi, Roma venne a contatto con la loro cultura e se ne lasciò “contagiare”, si appropriò anche di quell’alfabeto di origine greca. Dai greci avrebbero imparato e mutuato tanto altro, i romani, nei secoli che seguirono. Ma fu in quell’VIII secolo che cambiò la storia e la geografia politica della Penisola e dell’intero bacino mediterraneo. E che ebbero inizio le frequentazioni, migrazioni e integrazioni tra i greci e i popoli italici, tra gli abitanti della nuova città nata sul Tevere e i figli della Magna Grecia. L’incipit di un nuovo mondo…

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