Era il mattino di una domenica particolare…il 2 febbraio 1828

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Foto Qui Ischia

Era il mattino presto di una domenica. Il 2 febbraio 1828. E in tanti erano già fuori di casa, nella chiesa parrocchiale per la Messa. La scossa li colse insieme, all’interno di quell’edificio che fu la loro salvezza. L’unico a rimanere quasi intatto, in un paesaggio stravolto, divenuto  improvvisamente nemico. Tutto intorno era desolazione. La strada principale era spaccata, profondamente, e piena di fratture. I vicoli vicini si erano riempiti di macerie. Del paese, poche case erano rimaste in piedi, ma fortemente danneggiate. Le altre, una quarantina, in pochi istanti erano state rase al suolo. E sotto i cumuli di macerie s’immaginavano tutti quelli che non vagavano, sporchi e feriti e ancora increduli, alla ricerca dei cari perduti. Altri, laceri e sconvolti, erano corsi impauriti verso il mare, portandosi dietro le prime cose che erano riusciti a tirar via dalle case prima della fuga, testimoni silenziosi del dramma che era appena accaduto nella parte più alta del paese.

Fu vicino al mare che li videro due viaggiatori inglesi, Ramage e Henderson, che erano appena sbarcati per un soggiorno sull’isola d’Ischia. Approdati sulla spiaggia, a colpirli era stato il pesante silenzio, innaturale a quell’ora del mattino, perdipiù in un giorno di festa. Le poche persone in cui si imbatterono, apparivano spaventate e poco desiderose di parlare. Riuscirono a biascicare solo poche parole, facendo riferimento ad un disastro. Frasi incomprensibili per gli stranieri, finchè il loro sguardo non cadde su quegli altri paesani, vestiti di polvere, con utensili da cucina sulle spalle. Salendo sulla strada che avrebbe dovuto portarli alla casa in cui dovevano alloggiare, i due forestieri incontrarono altre persone, alcune ferite. E trovarono conferma i loro dubbi e quanto aveva creduto di capire fino ad allora.

Quando giunsero nel luogo chiamato Maio dov’erano diretti, ebbero piena contezza del dramma che si era consumato appena un’ora prima del loro sbarco alla marina di Casamicciola. L’impatto fu duro: il terremoto aveva seminato in pochi attimi morte e distruzione ovunque. A stupirli furono delle donne, delle madri, che cantavano una nenia straziante invocando le giovani figlie morte.

Colpiti da quella situazione e non potendosi fermare sul posto, i due inglesi lasciarono Casamicciola e si spostarono verso il borgo di Ischia, dove contavano di trovare alloggio per la notte, prima di ripartire. Da quella parte dell’isola non vi erano segni nè conseguenze di quanto era accaduto a poche miglia di distanza. Eppure, anche lì trovò una strana atmosfera. I paesani si rifiutarono tutti si accoglierli, a qualunque condizione. Tanto che Ramage e Henderson furono costretti a ripartire subito, alla volta di Napoli, dove diffusero la notizia di quanto era accaduto sull’isola tra i loro connazionali, che vivevano in buon numero in città.

Dopo pochi giorni, tornarono a Casamicciola e chiesero alla parrocchia del Maio i nomi dei superstiti che avevano bisogno di aiuto. A loro andarono, a distanza di poco tempo, le 200 sterline raccolte dal consolato inglese di Napoli.

Nel frattempo, due giorni dopo il sisma, il governo aveva mandato a Casamicciola 100 soldati, che si diedero da fare a togliere di mezzo le macerie, riportando alla luce i morti e anche i pochi che erano riusciti a sopravvivere fino ad allora. Tra cui una donna, Concetta Morgera, che tenne duro per ben quattro giorni prima di essere estratta dalle macerie. Il re decise di far distribuire sussidi ai senzatetto e la ricostruzione delle case. Il Pio Monte della Misericordia mise a disposizione dei terremotati la sua struttura con delle provviste. Allora…

(fonte: Paul Buchner, “Un ospite a Ischia”, ImagAenaria)

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