Stupefacente Ischia. Sabato pomeriggio vado, come tanti, alla Biblioteca Comunale Antoniana, a seguire la conferenza “MAKE ETRURIA GREAT AGAIN”, attirata dall’occasione imperdibile di sentir parlare degli Etruschi e delle relazioni con Pithekoussai da un relatore speciale come VALENTINO NIZZO, il direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, che è indissolubilmente legato nella mia memoria all’emozione profonda dell’incontro con l’Apollo di Veio ed il Sarcofago degli Sposi. Non potevo immaginare, così come la maggior parte delle tante persone presenti, che l’archeologo che sta rilanciando il più importante museo etrusco del mondo avesse dedicato così tanta parte dei suoi studi proprio a Pithekoussai, protagonista della monografia “RITORNO A ISCHIA”, pubblicata nel 2007, che ha portato un contributo significativo alla “lettura” della necropoli di San Montano. Un volume pressochè sconosciuto sulla nostra Ischia, dove non si è mai pensato neppure di presentarlo, benchè abbia invece fatto molta strada in Italia e non solo. Una delle tante “dimenticanze” che connotano, ahinoi, l’approccio isolano con il patrimonio straordinario che la storia ci ha affidato e di cui siamo non sempre degni custodi.
La conferenza è partita proprio da questo, ovvero dal rapporto con il patrimonio culturale delle comunità che ne sono eredi. Dopo i saluti della direttrice dell’Antoniana LUCIA ANNICELLI e del sindaco d’Ischia ENZO FERRANDINO, l’incontro è stato introdotto dall’archeologa MARIANGELA CATUOGNO, che ha voluto iniziare dalla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, meglio nota come convenzione di Faro, che si rivolge a tutti, non solo agli operatori culturali e che ha un valore speciale per un Paese come l’Italia, detentore di oltre il 70 per cento del patrimonio storico-artistico mondiale, anche se il Parlamento non ha ancora trovato il modo di ratificarla, benchè sia stata firmata nel 2013. Uno spunto ideale per il primo intervento di Nizzo, che ha voluto sottolineare il valore rivoluzionario della convenzione, che esalta il ruolo della comunità come erede del patrimonio culturale, responsabilizzandola non solo rispetto ad una sua tutela attiva, ma anche rispetto alla sua valorizzazione, fruizione responsabile e trasmissione da una generazione all’altra. E proprio i principi della convenzione Nizzo, direttore a Villa Giulia dal maggio 2017, ha voluto recepire nel nuovo statuto del museo, cercando di trasfonderli nella quotidianità della gestione e nelle scelte organizzative che stanno privilegiando un forte coinvolgimento dei visitatori con iniziative specifiche, delle associazioni per la realizzazione di eventi di richiamo e finanche dei negozianti del quartiere, identificati come ambasciatori del museo.
L’attenzione si è concentrata sugli Etruschi con la prima di una serie di domande di Mariangela Catuogno, che così, nel corso dell’incontro, ha proposto gli spunti poi sviluppati brillantemente dall’ospite. Una formula indovinata, che ha reso più agile la conferenza, consentendo pure di approfondire alcuni temi molto più inerenti al nostro patrimonio isolano di quanto ci si potesse aspettare. E punto di partenza è stato proprio l’importante legame tra Pithekoussai e l’Etruria, dimostrato da GIORGIO BUCHNER che individuò il circuito tra l’isola d’Elba, dove i pithecusani si approvvigionavano di ferro e metalli, che poi lavoravano nelle officine metallurgiche di Mazzola, per poi rivendere alcuni degli oggetti realizzati agli etruschi insediati nell’entroterra campano. Delle anforette etrusco-laziali ritrovate in diverse tombe pithecusane dimostrano quello che Nizzo ha definito come “il dialogo fecondo” sviluppatosi fin dalla fondazione di Pithekoussai e proseguito con modalità particolari. E sempre Buchner evidenziò che l’isola esportava non solo monili o manufatti, ma anche tecniche di produzione, grazie a maestranze itineranti nei territori etruschi, diffondendovi così forme ceramiche mutuate spesso dalla madrepatria.
GRECI ED ETRUSCHI
All’origine dell’interessamento di Nizzo, come ricercatore, nei confronti di Pithekoussai, culminato con il suo volume del 2007, “Ritorno a Ischia – Dalla stratigrafia delle necropoli di Pithekoussai alla tipologia dei materiali” ,c’è stato l’incontro con l’opera di DAVID RIDGWAY, di assoluto rilievo, sebbene poco nota a Ischia, al centro di un convegno internazionale dedicato all’archeologo inglese nel 2012, poco dopo la sua scomparsa. “Io mi sono formato sui testi di Buchner e di Ridgway”, ha sottolineato il direttore, ricordando di aver conosciuto il secondo, che apprezzava molto chi continuava ad approfondire il loro lavoro. E proprio Ridgway, mostrando sempre un grande amore per l’Italia (non estraneo al matrimonio con l’etruscologa Francesca Romana Serra, che collaborò con lui e Buchner anche nella fase pithecusana, ndr) raccontò la straordinaria impresa compiuta dall’ESPANSIONE GRECI IN OCCIDENTE nell’VIII secolo, dando il giusto valore all’elemento umano, ovvero alle scelte di tante persone che decisero di trasferirsi in una nuova terra, attratti dalle sue potenzialità e dalle opportunità che offriva. Un’impresa che si lega alla contemporanea epica di OMERO, di fu la propagatrice in quella nuova realtà che comprendeva anche gli scambi con altre popolazioni, in particolare gli Etruschi. Questi con le città di Vetulonia e Populonia controllavano il distretto metallifero dell’Elba e in seguito quello dei monti della Tolfa e, dunque, i Greci insediatisi prima a Pithekoussai poi a Cuma non poterono prescindere da un immediato contatto dialettico con loro. Da questo contatto scaturì la trasmissione dai Greci agli Etruschi di quanto di più prezioso vi poteva essere, “la capacità di fissare la memoria” attraverso l’ALFABETO CALCIDESE puro, elaborato grazie ai precedenti contatti con i Fenici e, quindi, frutto della grande mobilità di genti da una parte all’altra del Mediterraneo.
Oltre alla trasmissione dei valori materiali e immateriali, tra i Greci e le altre popolazioni si verifica anche quella di un sistema di valori etico-morali. A dimostrarlo ci sono i rituali funerari descritti da Omero per Patroclo e Ettore che trovano riscontro nelle sepoltura in Eubea, ad Eretria e Lefkandi. Una delle tombe scavate nella necropoli di Cuma ai primi del ’900, oltre a fare riferimento alle sepolture di Eretria, conteneva anche molti elementi etruschi e finanche uno scudo villanoviano. Caratteristiche simili alle tombe etrusche di Pontecagnano e ritrovate pure in Etruria, dove venivano associate allo stile orientalizzante. D’altronde, il fasto delle sepolture dei principi etruschi e latini è assimilabile a quello dei sovrani orientali e assiri e insieme ai beni materiali, al vino e allo stesso alfabeto, si diffondevano tra i popoli mediterranei da oriente e occidente, anche rituali e valori morali.
LA NECROPOLI DI PITHEKOUSSAI
L’occasione di avere Nizzo a Ischia ha consentito di accennare anche al lavoro di ricerca che il direttore ha dedicato alla necropoli di San Montano, sulla base delle tombe pubblicate in “Pithekoussai I” che offrono una grande mole di dati e informazioni. L’insediamento dei Greci sulla nostra isola ha rappresentato un “unicum” nel Mediterraneo ed un momento epocale, corrispondente alla nascita della polis, che si accompagna ad una strutturazione nuova e più complessa della società. Una fase caratterizzata anche dagli scambi pacifici con altre culture, cui corrisponde una nuova consapevolezza identitaria dei coloni euboici. E così come si definisce e si organizza la città dei vivi, specularmente si sviluppa la necropoli, dove le sepolture restituiscono il palinsesto della realtà.
L’enorme mole di dati, osservazioni e rilevazioni, raccolta da Buchner grazie alla sua rigorosa tecnica di scavo stratigrafica praticata a San Montano e consegnata al mondo, è stata studiata e approfondita da Nizzo, che ne ha tratto una sequenza logica della successione delle varie sepolture, tenendo conto degli aspetti rituali legati all’età, al censo e all’origine etnica dei defunti. Rituali che trovano pieno riscontro nella tradizione omerica e che si tramandarono sostanzialmente da una generazione all’altra nella vasta area della necropoli, di cui è stata scavata solo una piccola parte. Esemplificativa di tutta la superficie interessata dall’area sepolcrale pithecusana, che ospitava migliaia di tombe, su più strati sovrapposti, giacchè gli stessi spazi sono risultati utilizzati più volte nel corso del tempo. Come ha confermato l’analisi tipologica dei materiali, che ha consentito di identificare le tombe più in alto come più recenti e quelle collocate negli strati inferiori come più antiche. E l’evoluzione della cultura materiale, lo studio di tutti gli oggetti e della loro collocazione hanno permesso di ricostruire la cronologia delle tombe e i vari elementi rituali collegati.
LA TOMBA DELLA COPPA DI NESTORE…ERANO DUE?
Lo studio condotto sui risultati dello scavo ha portato Nizzo a formulare una NUOVA LETTURA della TOMBA 168, la più famosa di tutte per la scoperta della COPPA DI NESTORE, parte di un corredo inconsueto per il numero dei pezzi, ma anche per le loro caratteristiche. Secondo lo schema cronologico elaborato dal Direttore del Museo di Villa Giulia, alcuni di quei reperti non corrispondono al tempo della sepoltura e neanche al corredo funebre di un adolescente. Lo stesso Buchner all’inizio pensò che quello spazio e gli oggetti che vi erano presenti potessero appartenere a 3 tombe. Ma a convincerlo poi che si trattava solo di una, fu la distribuzione dei cocci della Coppa di Nestore su tutta la lente di terra e il particolare che non vi era traccia di altre ossa, oltre quelle di un ragazzino di 10 anni. Ma diversi particolari continuano a non tornare: un’area corrispondente al sepolcro più ampia di tutte le altre, 4 crateri unici per i corredi di Pithekoussai, frammenti di oggetti più recenti della Coppa e che non corrispondono alla cronologia della tomba.
Da questi particolari, Nizzo ha ipotizzato che si tratti di DUE SEPOLTURE NON DI UNA SOLA. E che non si siano trovate altre ossa, ma solo cenere, perchè probabilmente la tomba del ragazzino della Coppa di Nestore fu collocata su un’area di incinerazione giù usata in precedenza.
L’INCEPPATO DI ISCHIA
E’ stata subito un “caso” lo tomba 950, oggetto di una pubblicazione recente dell’attuale soprintendente per l’Area Metropolitana di Napoli, TERESA ELENA CINQUANTAQUATTRO (che tra l’altro è un’etruscologa, ndr). Tanto da essersi guadagnata titoloni di giornali e articoli di stampa per la sua straordinarietà, che ha fatto parlare di sacrificio umano a proposito del defunto, un uomo di circa 40 anni ritrovato con dei pesanti ceppi di ferro ai piedi. Unico caso della necropoli, ma anche unico per la presenza nel suo ridottissimo corredo di un coltello e di uno scarabeo. Oggetto quest’ultimo sempre e solo presente nelle sepolture di bambini, che indossavano gli scarabei con finalità apotropaiche. E anche il coltello è una rarità, perchè non vi sono armi nelle tombe dei pithecusani.
L’interpretazione “ufficiale” di queste anomalie ha concluso che potrebbe essersi trattato del sacrificio forse di un capo indigeno ribelle. Ma tante sono le domande che quella modalità di sepoltura e i reperti del corredo continuano a proporre e tanti i dubbi che sollevano.
Nizzo ha esplicitato sabato una sua ipotesi, diversa dalla versione ufficiale. I CEPPI DI FERRO più che ad un prigioniero, gli hanno fatto pensare ai casi, presenti in diverse tombe a inumazione dell’antichità, di grosse pietre (STONED BURIALS) piazzate sui corpi come a tenerli fermi, che dovevano servire ad impedire il ritorno in vita di defunti che incutevano paura ai vivi. Secondo Nizzo, i ceppi di ferro (materiale all’epoca prezioso) di un prigioniero sarebbero stati recuperati e riutilizzati. Se si è deciso di interrarli per sempre, può essere stato per sfruttarli come le pietre ritrovate in altre realtà. Anche questa lettura, comunque, sottolinea la particolarità di quell’uomo già in vita, con effetti e conseguenze anche dopo la sua morte. Una storia tutt’altro che chiusa, alla fine. E la conferenza di sabato ha dato un contributo nuovo e interessante alla conoscenza e all’interpretazione della storia dell’”inceppato” e dell’intera necropoli di Pithekoussai. Così, la ricerca archeologica vive e progredisce. Tassello dopo tassello.