Sulla riva a intrecciare giunchi, l’arte antica di costruire nasse che rischia di perdersi

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Foto Qui Ischia

Rametti sottili di ulivo. E flessibili giunchi. Da intrecciare con pochi movimenti sicuri, precisi, familiari. Così, pian piano, le abili mani danno forme complesse a materie semplici e naturali, con le quali mostrano una confidenza lunga, coltivata e affinata nel tempo. Un’abilità che SALVATORE ha acquisito da ragazzino, osservando e imitando i gesti del padre e degli altri uomini di famiglia. Pescatori, da generazioni, i CURCI della Mandra. Dove anche oggi il Tarantino, come lo conoscono tutti, approfitta delle giornate di sole, anche in pieno inverno, per dedicarsi ai suoi intrecci in riva al mare, che è compagno da sempre della sua vita.

L’ho incontrato qualche mattina fa, mentre era intento a creare i suoi oggetti sul muretto di confine tra la stradina interna e la Spiaggia dei Pescatori. Un lavoro di pazienza, che ha attirato l’attenzione di quanti sono passati di là per godere, come lui, del sole che si specchiava nella distesa variamente azzurra del mare. Pochi scambi di parole, con chi lo riconosceva come originario della zona. “Prima abitavo là, dove sta quel portoncino, lo vedete?”, e indica una delle case a piano terra affacciate direttamente sul mare.  Ci tiene a dirlo, con orgoglio, che la grande spiaggia è il suo luogo d’origine e probabilmente del cuore, tanto più da quando abita altrove, seppure a poca distanza da quel “suo” mare che continua a chiamarlo.

E ha a che fare anche con quei suoi intrecci, il mare. Rametti e giunchi sono stati trasformati in un lampadario e un altro si sta componendo tra le sue mani. Ma le forme appena riadattate al diverso uso, inconfondibili, sono  quelle tipiche delle nasse. Come si facevano una volta, prima di diventare di plastica. Indistruttibile e distruttiva. “Prima così si facevano – racconta Salvatore – di questi materiali naturali che con il tempo si disfacevano naturalmente senza fare danni, come fa la plastica adesso. Quella a mare non ci dovrebbe finire”.

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Foto Qui Ischia

E spiega ancora, Curci, le caratteristiche di quelle nasse antiche che le differenziavano da quelle in uso oggi: “Prima non se ne mettevano a mare più di sessanta, settanta, non a centinaia come adesso. E si pescava solo ciò che serviva, non si eccedeva come adesso. E quando si perdevano le  nasse, in poco tempo ulivo e giunchi si sfaldavano e si distruggevano, non restavano per secoli come la plastica. Chi comanda, se ne dovrebbe preoccupare, la dovrebbe abolire proprio per questi mestieri.”. Già, con il disastro che la plastica sta provocando nei mari e negli oceani di cui ormai siamo perfettamente a conoscenza e consapevoli, con effetti devastanti sulla fauna marina e forse anche per l’uomo attraverso la catena alimentare, bisognerebbe abolire le attrezzature di pesca fatte di materiali non ecologici. E imporre, magari a cominciare dalle Aree Marine Protette, il ritorno al vecchio sistema, in armonia con la natura.

Intanto, Salvatore continua i suoi intrecci sulla riva del mare. Sarebbe bello che la sua competenza fosse trasmessa ai giovani e tornasse ad essere utilizzata per la costruzione artigianale delle attrezzature da pesca, bandendo le nasse di plastica dal nostro mare. Nettuno ringrazierebbe. E il suo futuro sarebbe meno a rischio. Come il nostro. Grazie a semplici rametti d’ulivo e flessibili giunchi.

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