Oinops Pontos, attraverso il mare la cultura del vino e del simposio si irradiò da Pithekoussai

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Foto Qui Ischia

OINOPS PONTOS, il mare color del vino cantato da Omero. E attraverso il mare si diffondevano le tecniche colturali e le tradizioni culturali legate alla vite e al suo nettare. E sul mare viaggiavano le anfore piene di vino, nel ventre capiente delle navi che collegavano luoghi, popoli e storie nel mondo allora conosciuto, che pure tutto intorno al mare era raccolto. Quel mondo su cui ha acceso un cono di luce l’intrigante conferenza che qualche giorno fa, presso la Biblioteca Comunale Antoniana di Ischia, l’archeologa MARIANGELA CATUOGNO ha dedicato a “Dall’oinops pòntos all’eùpoton potèrion: il consumo rituale del vino nell’antica Pithekoussai”, con una introduzione della direttrice LUCIA ANNICELLI.

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Foto Qui Ischia

Non una comune produzione agricola, non una semplice bevanda. Nel processo di trasformazione dell’uva in vino gli antichi identificavano un elemento creativo ispirato dalla divinità e riconducibile ai suoi poteri, di cui gli uomini diventavano partecipi. Perciò il consumo del vino aveva connotazioni fortemente rituali, che l’archeologia ha ricostruito nelle varie epoche e nei diversi contesti. Aiutata anche dall’evoluzione della ricerca archeometrica e archeobotanica, che ha prodotto risultati in grado di modificare alcune interpretazioni date precedentemente per acquisite.

Così, grazie al ritrovamento e allo studio di vinaccioli e di residui identificati nei recipienti riemersi dagli scavi, le testimonianze più antiche della produzione di vino sono state ritrovate in Oriente, nel sito di GODIN TEPE, in Iran. Poi un periodo lungo qualche migliaio di anni senza evidenze, fino all’epoca micenea, con tracce di coltivazione della vite a MICENE che hanno rivoluzionato le certezze preesistenti. Lì, infatti, si facevano arrampicare le viti sugli alberi,  come usavano gli etruschi e le altre popolazioni italiche, fino al contatto con i greci, che si era sempre pensato utilizzassero esclusivamente sostegni morti, ovvero pali di legno che tenevano bassi i filari. La scoperta di Micene e la definizione su una tavoletta in scrittura lineare B delle viti “anadendriadi” ha rivelato una realtà molto più varia e complessa. Peraltro, risalgono alla presenza micenea le fosse per la coltivazione delle viti ritrovate anche sull’isola di VIVARA. D’altra parte, a dimostrare che la VITE era presente e coltivata in  Italia anche PRIMA dell’arrivo dei GRECI, ci sono i resti di vinaccioli e raspi d’uva ritrovati nell’importante sito di LONGOLA a Poggiomarino, alla foce del fiume Sarno.

kylixvinoA raccontare la storia del vino in Italia sono importanti reperti ceramici. Come un’anfora, a figure rosse, che raffigura dei satiri intenti alla pigiatura dell’uva. E ancor di più una KYLIX famosissima del ceramista EXECHIAS, che raffigura una nave in un mare popolato di delfini sulla quale si trova Dioniso. E l’albero maestro che sorregge la vela bianca è una vite carica di grappoli. Il mare, il vino: l’”oinops pontos” evocatore di Omero.

Un’altra kylix, stavolta dipinta, compare nell’affresco della TOMBA DEL TUFFATORE di PAESTUM che raffigura un SIMPOSIO. Uno dei personaggi della scena lancia del vino con la sua kylix, come si usava nei giochi amorosi dei convivi, e il movimento del vino si collega a quello del tuffatore nel mare, che rappresenta l’aldilà. E così anche il vino racconta il viaggio nell’aldilà.

Entrambe le kylix sono del VI secolo a.C. e raccontano il simposio in quel periodo. Molto diverso da come era stato nell’VIII secolo, quando veniva normalmente praticato a PITHEKOUSSAI. Come testimonia una oinochoe dalla forma più antica, con una decorazione nera e bianca sopra dipinta, risalente al 750 a.C. circa. Una forma tipicamente euboica, come quelle dello stile Aetos 666 delle coppe della metà secolo. E poi ci sono i CRATERI, contenitori tipici del BANCHETTO, usati per miscelare il vino, che non veniva bevuto da solo.

A Pithekoussai si elaborano forme ceramiche della madrepatria. E dalla metà dell’VIII secolo all’inizio del VI si producono le ANFORE DI TIPO A e B che sono state ritrovate ovunque nel Mediterraneo, a dimostrazione di quanto fosse importante il COMMERCIO DEL VINO. Le anfore di tipo B, che sono il prototipo di quelle etrusche e rappresentano il contenitore fondamentale per il trasporto del vino, sono frutto dello studio e della creatività dei ceramisti pithecusani. Ma il vino era anche  largamente utilizzato sull’isola e il SIMPOSIO ampiamente diffuso. Il ritrovamento nel quartiere metallurgico di MAZZOLA di una GRATTUGIA, tipico oggetto usato per grattugiare il formaggio mescolato al vino in quelle occasioni, insieme a un cratere esposto al Museo Archeologico di Napoli sono la prova che la pratica del simposio era trasversale a tutte le classi sociali.

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Foto Qui Ischia

Lo stesso “louterion” di PUNTA CHIARITO, esposto a Villa Arbusto, si è ipotizzato che potesse essere la base di un torchio o pigiatoio. I fossi nel paleosuolo più antico con tracce di vinaccioli hanno raccontato che in quel sito si coltivava una vigna. E il ritrovamento nella capanna di un SET DA BANCHETTO con coppe, cratere, bacile e perfino la grattugia indicano che anche in quella residenza di campagna erano celebrati i simposi.

nestoreE la COPPA DI NESTORE con la sua iscrizione poetica rinvia anch’essa esplicitamente al simposio, momento rituale successivo al banchetto.

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Foto Qui Ischia

Il ricco corredo della TOMBA 166,  che accoglieva le spoglie di una donna, forse la nonna del fanciullo della 168 che ha restituito la COPPA DI NESTORE,  contiene fra i tanti reperti delle più diverse provenienze una piccola oinochoe con una decorazione che rinvia al FUNERALE DI PATROCLO narrata da Omero. E il vino era parte integrante dei RITI FUNERARI dell’età omerica che è anche quella iniziale di Pithekoussai. Le ceneri, dopo la cremazione, venivano spente con il vino. E l’oinochoe a ciò utilizzata era depositata ai piedi del defunto. Lo stesso CRATERE DEL NAUFRAGIO, che rinvia alle avventure e disavventure in mare dei “nostoi”, i ritorni degli eroi da Troia, fu rinvenuto in un punto della necropoli tra la pira sacra e il punto in cui si svolse la libagione per il defunto, che si praticava regolarmente con la partecipazione dell’intera comunità.

D’altra parte, il consumo del vino era anche pubblico. Elemento di contatto, questo, con le abitudini dei FENICI che erano una componente importante della popolazione di Pithekoussai e che usavano bere vino speziato. La presenza di oinochoe e coppe in uno dei corredi più antichi della necropoli, nella tomba di una donna morta di parto, per Buchner di origine fenicia, dimostra un uso comune del simposio anche tra i pithecusani non greci.

La CULTURA DEL VINO che connotò fortemente la vita quotidiana (comprensiva pure dei riti funebri) di Pithekoussai fin dagli albori, si diffuse al di là del mare, ancora prima che la colonizzazione si estendesse sulla terraferma. Lo sfarzo degli oggetti legati al consumo del vino ritrovati nelle aree etrusche dell’entroterra campano confermano la forte influenza culturale di Pithekoussai sulle POPOLAZIONI ITALICHE preesistenti. Culti e riti trasmessi da un versante all’altro del Mediterraneo e da una sponda all’altra del nostro golfo sull’”oinops pontos”, il mare color del vino.

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