“Vedete? Non sono riusciti a salvare neanche i pini!”. L’affermazione mi arriva forte e chiara agli orecchi proprio mentre sono di passaggio nella Pineta Mirtina. Mi giro per vedere chi l’abbia pronunciata e noto due signori dai capelli bianchi che conversano seduti su una panchina. In un punto della pineta dove, in effetti, sono presenti tanti alberi e arbusti della macchia mediterranea, ma non vi è traccia di pini. Sarà questo che gli ha suggerito una considerazione tanto generica e pessimistica? Può darsi. Di sicuro, quelle parole corrispondono solo in parte alla realtà. Che dipingono assai più nera di quello che è. Perchè se la pineta dell’Arso non è più fitta e lussureggiante come qualche decennio fa, per quanto riguarda la specie allora dominante, non è giusto però sostenere una tesi tanto catastrofica. I pini ci sono rimasti eccome, per fortuna. E il periodo più nero per le pinete storiche ischitane si può considerare ampiamente e felicemente alle spalle. Con risultati che sarebbero stati impensabili, anche a voler essere ottimisti ad oltranza, fino a qualche anno fa.
Basta fermarsi un attimo a guardare i tronchi dei pini, camminando in pineta o sulle strade che li hanno come alberatura stradale, per accorgersi di quanto, invece, sia accaduto in positivo, in questi anni. E alzando lo sguardo verso le chiome, soprattutto degli esemplari più maestosi, che sono anche i più vetusti, non si può fare a meno di fare un confronto con immagini ancora piuttosto recenti. Di questi tempi, una decina di anni fa, avremmo dovuto evitare il più possibile di passare e tanto più di sostare sotto i pini, per non ritrovarci con delle strane macchie vischiose sugli abiti o avremmo ritrovato l’auto in sosta coperta da quelle stesse gocce, da fiocchi bianchi e anche da strani animaletti giallognoli. E i tronchi, i rami, gli aghi sarebbero apparsi pieni di quella ovatta bianca, invadente e preponderante lungo le fessure della corteccia. Erano i tempi in cui la Marchalina hellenica era al culmine della sua diffusione, avendo “impestato” capillarmente le pinete storiche dell’Arso fino al mare, i pini di giardini e parchi privati nel territorio di Ischia, fino ad estendersi con focolai più o meno estesi alla pineta di Fiaiano, al centro di Barano, al Bosco della Maddalena, fino alle porte di Forio.
Un’emergenza fitosanitaria gravissima, che aveva imposto l’adozione di regole stringenti sull’intero territorio isolano e perfino una cintura di sicurezza per evitare che l’infestazione potesse trasferirsi in terraferma. E che, soprattutto, aveva inferto un colpo durissimo alla popolazione dei “pini pionieri”, utilizzati alla metà dell’Ottocento per rinverdire la colata vulcanica dell’Arso. Con decine e decine di esemplari ultracentenari abbattuti, mentre nelle pinete si aprivano radure sempre più ampie e scompariva l’uniforme copertura verde che aveva caratterizzato fino ad allora il cuore di Ischia fino al mare.
Dopo aver convissuto forzatamente tanto a lungo con le manifestazioni più visibili della presenza della Marchalina, fino a non ricordarsi quasi più com’è un pino sano, adesso si fa fatica a immaginare che quella situazione si sia verificata sotto i nostri occhi e tanto a lungo nel tempo. E non solo perchè siamo a primavera inoltrata e i pini, sia quelli più vecchi che quelli giovani, hanno tronchi e rami puliti, come in qualunque altra parte d’Italia. Ma anche perchè i pini piantati negli ultimi vent’anni, proprio per ricostituire la pineta, stanno crescendo sani e rigogliosi ovunque e in qualche luogo hanno già raggiunto altezza e dimensione della chioma significative. Nonostante l’assoluta mancanza di cure e potature da quando sono stati messi a dimora.
Va riconosciuto che non è vero che non si è riusciti a salvare i pini, semmai il contrario. Certo, contro la moria iniziale non si è potuto fare nulla. Ma poi molta strada è stata fatta, grazie all’impegno dell’Associazione Difesa Pini fin dal ’93, sostenuta nelle sue iniziative e campagne di tutele e recupero delle pinete da tanti cittadini e associazioni, del Servizio fitosanitario della Regione fin dalla realizzazione del “Progetto Aenaria” negli anni ’90, e dell’Università di Napoli. Quest’ultima, attraverso il Dipartimento di Agraria di Portici, dopo averla studiata al lungo, ha trovato l’”antidoto” contro la Marchalina. Un antagonista naturale, un altro insetto che poco a poco è riuscito prima bloccare la diffusione della cocciniglia, poi a limitarne la popolazione e poi quasi a debellarla. Una mosca di piccole dimensioni, di colore grigio, originaria del Caucaso, diffusa (non a caso) in Turchia, terra d’origine della Marchalina, che nutrendosi delle uova e delle larve della cocciniglia aveva già dato ottima prova di sè nelle pinete greche, ridotte in condizioni ancora peggiori di quelle isolane. La sua importazione e diffusione sull’isola fin dal 2006, sotto il controllo scientifico dell’Università, ha rappresentato la svolta tanto attesa e cercata. Ci sono più di vent’anni, ma adesso che non si vedono più nemmeno le tracce più labili della Marchalina, si può davvero dire che la battaglia per salvare i pini d’Ischia e l’habitat creatosi alla loro ombra nell’ultimo secolo e mezzo è vinta. Anche se c’è ancora da combattere quella contro la trascuratezza, la mancanza di cura e il degrado che dilagano nelle pinete.