Quel dolce ischitano della tradizione che fa la tavola del Carnevale
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8 anni ago |
Foto Qui Ischia
Ha riposato per tutta la notte. Come si conviene agli impasti importanti, accompagnamento gastronomico ai momenti clou dell’anno, che richiedono una certa solennità anche in cucina. Dove si consuma il rito dell’annuale rinascita delle tradizioni, prima ancora degli altri riti tipici di ciascuna festa. “E Carnevale vuole il migliaccio”, afferma seria Gianna Napoleone, che aggiunge: “E’ il nostro dolce del Martedì grasso, che non può mancare sulla tavola come la lasagna e le polpette al sugo”. Sulle ultime due, nulla da obiettare, ma sul quello che lei chiama dolce, non concordo. Sarà che non fa parte della mia tradizione familiare, che nella mia infanzia e nei miei ricordi di sapori e profumi questa giornata è inscindibile da frappe e castagnole e che ero golosa soprattutto di queste ultime. Possibilmente, quelle fatte in casa, da mamma, con una vecchia ricetta che le associava già nel titolo ad un aggettivo che era anche una promessa: “bone”. E buone lo erano davvero, aromatiche e friabili sotto lo strato di zucchero goloso. Insomma, nel mio Carnevale questo migliaccio è sostanzialmente un intruso. Anche perchè ci eravamo incontrati solo fugacemente, in passato.
L’estraneo non mi aveva convinto proprio, al primo incontro. E dire che la curiosità era tanta per quella ricetta sconosciuta. Poteva mai non piacermi, poi, una tipicità ischitana? Il primo sguardo mi aveva anche confortato: “impupazzato” a dovere, sembrava all’altezza delle aspettative. Ma l’apparenza spesso inganna e già alla prova coltello aveva mostrato i primi limiti: troppo sbricioloso, ma non si poteva ancora giudicare. Niente da fare, però, con la prova assaggio. Un boccone era bastato per rispedirlo in fretta tra gli estranei non graditi e chiudere senza appello la conoscenza.
“Non mi piace”, la risposta a Gianna era stata immediata e diretta. E giù tutta la descrizione dei punti deboli di quella “roba” provata e archiviata. “Ma non è il migliaccio che facciamo noi. Pure io ho sentito una ricetta che non proverei mai. Quello non è il migliaccio, non c’entra niente con la ricetta di mia nonna, che l’aveva avuta da sua madre e che chissà quanto è antica. Il nostro è diverso pure da quello napoletano, è un’altra cosa”. Quello napoletano, in verità, l’ho incrociato sui social in questi giorni e mi è sembrato un bel dolce. Ecco, quello magari l’avrei riprovato…ma allora vuoi vedere che è proprio la versione ischitana che non mi piace?
Stamattina, sul presto, una telefonata. Dall’altra parte l’inconfondibile voce di Gianna, allegra e squillante, che mi comunica: “Ho appena infornato il migliaccio, te lo mando appena pronto, devi provarlo. Se non ti piace, lo butti, ma lo devi assaggiare. E’ Carnevale e il migliaccio è la nostra tradizione, non può mancare”. Vabbè, se la metti così, sull’identità ischitana, devo capitolare….un po’ scettica, sospendo il giudizio nell’attesa.
A metà mattina, il pacchetto ben confezionato arriva nelle mie mani. Lo disfo con poca convinzione. Ma è vero che è diverso da come lo ricordavo! Sulla superficie dorata, compatta, si notano i fili di pasta. Chissà come sarà…ne taglio un pezzetto, dubbiosa. Invece, è buonissimo. Un vero dolce, morbido senza sbriciolarsi, piacevole al palato, con un delicatissimo aroma di limone e cannella. Niente male, questo migliaccio!
“Gianna, è buono!”. “Mica ho lasciato la pasta a bagno nell’acqua di cottura, che ti credi, ho cominciato a prepararlo da ieri sera”. E, a quel punto, esce la rivelazione dei vari passaggi della ricetta di casa, antica. Che, come usava per il pane, ha tempi di preparazione lunghi, lenti, rituali. Ingredienti semplici, disponibili per tutti, anche quando non c’era la dovizia di oggi. Anticamente, quando faceva ancora parte dei cereali coltivati e consumati pure alle nostre latitudini, si usava il MIGLIO, da cui il nome. Poi sostituito dalla pasta, nello specifico i capellini, che si amalgamano bene con gli altri compagni di impasto: il latte e lo zucchero, innanzitutto. In cui si affoga la pasta appena scolata e ancora calda, che va lasciata riposare. Solo al mattino dopo, quando il composto sarà a temperatura ambiente, si potranno aggiungere le uova fresche e gli aromi. La cannella esotica, presenza costante nei dolci da queste parti, e la buccia odorosa dei limoni appena colti, tocco mediterraneo.
Un dolce semplice, ma sostanzioso. Da festa di una volta. Quando il “semel in anno” valeva anche per la tavola e si aspettavano certe date per concedersi l’”eccesso” rispetto alle abitudini parche dei giorni qualsiasi. Quando le vetrine delle pasticcerie non sciorinavano l’assortimento di oggi né i social proponevano ricette di ogni provenienza con liste di ingredienti infinite, inversamente proporzionali ai ridottissimi tempi di preparazione. Quando il tempo non era un problema e ci si poteva concedere il lusso di far riposare l’impasto per una notte. In attesa dei piaceri del dì di festa.