Da Pithekoussai all’età romana, il ruolo centrale di Ischia nella pratica religiosa nell’antichità

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Foto Qui Ischia

Il tempo, le vicissitudini geologiche e l’opera distruttiva delle generazioni precedenti non hanno consentito che arrivassero fino a noi. Con l’unica eccezione del ritrovamento sulla collina di San Pietro, purtroppo rimasto incompleto come il depuratore che in quello stesso luogo sarebbe dovuto sorgere. Sebbene i resti di un tempio greco del VI secolo a.C.,rinvenuti sotto vari strati di materiali vulcanici, abbiano confermato in pieno le valutazioni e  le ipotesi formulate da GIORGIO BUCHNER nella sua ricostruzione della storia di Pithekoussai. Dalla quale ricostruzione non poteva ovviamente essere esclusa la dimensione religiosa e cultuale del più antico insediamento della Magna Grecia. Così come non lo è stata dal Seminario di Archeologia promosso dal Centro Studi sull’isola d’Ischia e curato dall’archeologa Mariangela Catuogno, che ha dedicato alle divinità e alle pratiche religiose dei pithecusani e poi dei romani il terzo appuntamento della serie in programma alla Biblioteca Antoniana, incentrato proprio su “CULTI E AREE SACRE IN EPOCA GRECO-ROMANA: DALL’ACROPOLI D MONTE DI VICO A PASTOLA FINO A SANTA RESTITUTA”.

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Nella loro visione antropomorfizzata delle divinità, i greci dovevano premurarsi costantemente di non esserne ostacolati, se non addirittura di dover subire le loro vendette. Perciò dedicavano loro riti con la speranza di ingraziarsele e, dunque, di poter vivere senza troppe contrarietà. E a sintetizzare questo destino degli uomini, la frase pronunciata nell’”ILIADE” da Priamo, re di Troia, quando si reca nella tenda del nemico Achille per implorarlo di restituirgli il corpo esanime di Ettore, figlio prediletto, per tributargli i dovuti onori e una degna sepoltura entro le mura della città per la cui salvezza ha dato la vita: “Così, vedi, han destinato gli dèi per i miseri mortali: vivere in mezzo alle tristezze. Solo loro sono senza crucci”. E i POEMI OMERICI coevi furono parte integrante della DOTE CULTURALE che i COLONI portarono dalla loro isola d’origine, l’Eubea, nella nuova terra.

D’altra parte, come rivelano le fonti antiche, anche gli dei avevano avuto un ruolo nella colonizzazione verso Occidente. Prima di salpare con le navi, i capi delle spedizioni interpellavano l’ORACOLO DI DELFI ed era in base alle indicazioni della Pizia sul luogo in cui fondare le nuove città che dirigevano la prua. Ma a questa “regola”, rigorosamente seguita fino al V secolo, fece eccezione proprio l’origine di Pithekoussai. Non vi è alcun riferimento religioso infatti nella sua fondazione né memoria della consultazione dell’oracolo da parte degli ecisti che guidarono i coloni di Calcide e di Eretria verso la nuova patria. E questo elemento non è stato estraneo alla lunga diatriba su come considerare Pithekoussai, se semplice “emporion” o già “apoikìa”.

In assenza di  ogni  informazione dalle fonti sulla religione dei pithecusani, unici riferimenti utili per cercare di ricostruirla sono i reperti di cui disponiamo, elementi concreti che hanno accompagnato e mutuato l’affascinante percorso proposto da Catuogno. Punto di partenza è la riproduzione di un TEMPIETTO in stile geometrico rinvenuto nel cosiddetto SCARICO GOSETTI (dal nome del titolare della villa edificata nel luogo dello scavo) in corrispondenza dell’antica Acropoli di Monte di Vico. Si tratta di un ex voto di terracotta di fattura locale, che riproduce esattamente le caratteristiche di un tempio pithecusano del periodo arcaico. Che, a sua volta, riprendeva le caratteristiche  delle case del tempo. Così come il modello di tempio e di casa, sempre in terracotta e con decorazione tardo-geometrica, riportato alla luce in Grecia, a Perachora. Anche in quel caso il modellino presenta una struttura absidata come quella del modello pithecusano. A cui si collega un reperto fittile, caratterizzato da una gonna trapezoidale drappeggiata, che indica una divinità femminile. E ciò consente di dedurre che a Monte di Vico sorgeva un tempio innalzato in onore di una divinità femminile.

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Nella tomba 168 in cui era deposta la Coppa di Nestore, un CRATERE del corredo reca un’iscrizione dipinta – “ek theoù, da dio” – Forse era collegato al rito di iniziazione alla vita adulta dei giovani, che comprendeva anche un periodo vissuto nel tempio.

LA STIPE DI PASTOLA

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Dall’altura di Monte di Vico a Pastòla, alle spalle dell’albergo “Regina Isabella”, dove nello scavare per realizzare un deposito di mobili emersero degli strani oggetti. Come spesso avveniva in questi casi, anche in altre parti dell’isola, fu chiamato don PIETRO MONTI, che comprese subito l’origine greca e l’enorme valore di quei pezzi, benchè il sito fosse stato stravolto e non fosse più possibile una sua rigorosa “lettura” archeologica. Don Pietro, che ricostruì qualcuno di quegli oggetti con i pezzi recuperati, chiese l’autorevole parere di Buchner. Per una identificazione sicura della natura di quella raccolta di oggetti fu coinvolto un altro esperto, Bruno D’Agostino, che arrivò alla conclusione che si trattasse di una STIPE VOTIVA in una fossa scavata vicino ad un tempio, ovvero dell’insieme degli ex voto che, una volta sacrificati alla divinità, venivano gettati in un apposito spazio all’interno del recinto sacro.

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Gli oggetti di Pastòla – cavallini e muli, ma anche piccole barche e carretti di terracotta – raccontano un culto molto preciso. Che potrebbe far riferimento alla devozione a Poseidone o ad Era, divinità molto celebrata in Eubea. E delle due opzioni la più fondata sembra essere proprio quella di ERA, condivisa anche da Buchner. Se, infatti, i cavalli evocano un culto eroico, dunque Poseidone, il carretto attaccato ai muli fa pensare alla tradizione del matrimonio, che prevedeva il passaggio della sposa dalla casa del padre a quella del marito ed è probabile che si trattasse di oggetti sacrificati alla dea dalle giovani pithecusane in occasione delle nozze.

A testimoniare pratiche legate a riti di passaggio all’età adulta c’è anche un IDOLO ERMAFRODITO, nella parte superiore uomo e in quella inferiore donna.

Di particolare valore per le caratteristiche  degli ex voto che la componevano, la Stipe di Pastòla, databile tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C., rappresenta una delle primissime attestazioni magno-greche.

LE TERRACOTTE ARCHITETTONICHE

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Da Monte di Vico provengono le terracotte architettoniche esposte al Museo Archeologico di Villa Arbusto, che risalgono al periodo arcaico e sono di produzione locale. Si tratta di PROTOTIPI realizzati dagli abili artigiani di Pithekoussai, con decorazioni caratteristiche in bianco-nero-rosso, che furono poi presi a modello per i templi di Capua, Paestum e della Sicilia. Da Pastòla, invece, arriva una SIMA che è stata prototipo per il tempio di Apollo a Cuma.

I reperti dimostrano che a Pithekoussai vennero creati i prototipi delle forme ma anche delle decorazioni dei templi di diversi siti della Magna Grecia. Forse, almeno nel caso di Cuma, i pezzi furono realizzati sull’isola, per poi essere montati nel tempio di Apollo.

I CULTI PITHECUSANI E ROMANI

Durante gli scavi del Regina Isabella tornò alla luce la base di un DONARIO DEDICATO AD ARISTEO, che reca un’iscrizione di età ellenistica, con la citazione di un certo Lucio “il romano”, probabilmente il titolare di una figulina. D’altra parte, nell’area artigianale sotto Santa Restituta sono stati ritrovati vari bolli con cui venivano firmati gli oggetti di terracotta da chi li aveva creati. Il culto di ARISTEO, la divinità protettrice dell’agricoltura e dell’apicoltura, poi, era di provenienza euboica. E nell’VIII secolo l’allevamento delle api era un’attività importantissima. Peraltro,  a proposito di una fratria a lui intitolata, il culto di Aristeo è attestato pure a Neapolis, che era stata fondata anche da pithecusani.

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Nei RILIEVI VOTIVI DI NITRODI, i cui calchi sono esposti a Villa Arbusto (gli originali sono al Museo Nazionale di Napoli) è raffigurato APOLLO, venerato come medico, insieme alle NINFE della fonte. Non c’era un tempio a Nitrodi, giacchè ad essere venerata era la sorgente per le virtù terapeutiche già note e utilizzate dai greci: un culto rupestre ereditato poi dai romani. Nelle tavolette di marmo datate tra il I secolo a.C. e il II d.C. compare nelle più antiche Apollo, mentre nelle più tarde  le Ninfe si accompagnano a Castore e Polluce, senza il dio.

Assimilato all’inizio (1968) ad una cisterna romana, il MURO in “opus reticulatum” riportato alla luce da don Pietro Monti sotto la chiesetta di Santa Restituta, che poi prosegue sotto la chiesa grande, fu in seguito identificato per le sue dimensioni come parte di un tempio, anzi del “naos” di un TEMPIO, che non si sa a chi fosse intitolato e di cui sono state recuperate basi e blocchi di colonne. Da quell’area proviene anche l’erma di ERACLE in marmo, oggi custodita all’ingresso della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Lacco Ameno. Era forse quello il tempio di Ercole? Resta un’ipotesi.

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Sono state recuperate sul Monte di Vico delle piccole teste di ATENA dal copricapo frigio di età ellenistica, che attestano un culto diverso da Cuma e da Neapolis, praticato solo a Ischia. Altri reperti dimostrano che tra le divinità venerate sull’isola vi erano EROS, di cui è stata trovata una statuetta ellenistica a Monte di Vico, e DEMETRA desmophoros, a cui erano dedicate  cerimonie con fiaccole, che si svolgevano anche a Cuma, mentre le donne sacrificavano simbolicamente alla dea oggetti dalle forme di porcellini o piccoli pani, rinvenuti a Ischia. E, d’altra parte, sono emerse testimonianze nelle tombe della necropoli di CULTI AL FEMMINILE praticati in età greca e romana.

Proprio lo studio dei reperti legati alla religiosità dei suoi antichi abitanti, dimostra che Ischia ebbe un ruolo molto importante nel Mediterraneo non solo nell’VIII secolo, con la fondazione di Pithekoussai che segnò l’inizio della colonizzazione in Occidente, ma anche nei secoli successivi, contribuendo con usi e rituali all’evoluzione della Magna Grecia.

 

 

 

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