Le luminarie sono installate e il palco in piazza è già stato montato. Tutto è pronto a Serrara per le celebrazioni solenni del 16 luglio, in onore della Madonna del Carmine. Ma prima l’”apparata” servirà per un appuntamento speciale, che precederà quello annuale e che si annuncia anch’esso molto sentito dagli abitanti della cittadina, coinvolti da tempo nella sua preparazione. Perchè tra poche ore, alle 21.00 di sabato 12 luglio si festeggeranno i cinquant’anni di sacerdozio don Angelo Iacono, il parroco che è anche concittadino, punto di riferimento della comunità. Di cui è anche memoria storica, una fonte inesauribile di racconti, aneddoti, vicende storiche, tradizioni e consuetudini della sua terra amatissima. E della sua gente, che gli si strinse intorno compatta e felice per la prima volta in un altro giorno d’estate, il 12 luglio 1964, quando il giovane Angelo fu ordinato sacerdote nella cinquecentesca chiesa parrocchiale di Serrara, dove fin da neonato aveva ricevuto gli altri sacramenti e in seguito, ancora ragazzino, aveva cominciato a prendere coscienza della sua vocazione.
E’ proprio dalla chiesa che ha fatto da cornice ai momenti più significativi della sua vita che inizia l’incontro con don Angelo. Prima di parlare del suo anniversario, si premura di illustrare la storia dell’antico edificio sacro, che risale al Cinquecento ma che entrò nel pieno delle sue funzioni poco prima della metà del Seicento. Dall’archivio, che custodisce con cura nel suo studio, estrae un libricino accuratamente rilegato, in cui sono registrati tutti i battesimi a partire dal 1641. “Ecco – dice indicando una data e dei nomi scritti con una elegante grafia sulla pagina che ha trovato con la sicurezza di l’aveva consultata più volte – questo è il primo battesimo celebrato in questa chiesa. Da allora in questa raccolta sono registrati tutti i battesimi e gli altri sacramenti, le morti. Con indicazioni preziose sui singoli e sulle famiglie. Questo archivio è una vera miniera, per conoscere la storia del nostro paese”. E in quella chiesa è custodita una parte importante di quella storia collettiva, come della sua personale. “Facevo il chierichetto quando, finite le elementari, il parroco di allora, don Livio, scelse me e altri due miei coetanei per avviarci in seminario, a Ischia”.
Era un cambiamento di vita netto: “Ischia la conoscevo, ci andavamo spesso con mia madre, con l’asino come si faceva in quel periodo. Ci andavamo a rifornire di quanto serviva per la casa, dei prodotti essenziali per la cucina, a San Michele, nel magazzino della “Suglia”. In seminario, con lui c’erano altri nove ragazzini, che avevano la possibilità di studiare: “Tra i professori c’era monsignor Massimiliano Lauro, che insegnava lettere, monsignor Vincenzo Scoti latino e greco e il superiore era monsignor Regine, che avrei trovato anche nel seminario di Salerno, dove mi trasferii quattro anni dopo, per proseguire la mia formazione”. La strada era intrapresa, la scelta compiuta e a suggellarla fu l’iscrizione alla facoltà di Teologia a Posillipo, dove rimase dal ’60 al ’64, quando il 15 giugno si laureò. “E il 12 luglio seguente fui ordinato sacerdote dal vescovo Dino Tomassini”, racconta. mostrando l’album con le foto di quella giornata di festa, con la chiesa parrocchiale stracolma e già addobbata per l’approssimarsi della festività del Carmine, pochi giorni dopo. “Me lo ricordo bene, quel giorno ha segnato la mia vita”, dice e ricorda la felicità dei genitori, che erano stati subito contenti della decisione del figlio di farsi prete, dei familiari e di tutto il paese, presente in massa a quella cerimonia.
DALLA MATERNITA’ IN ISCHIA ALLA PARROCCHIA NATIA
Il primo incarico da sacerdote fu come insegnante presso il seminario di Ischia, dove rimase due anni, prima di passare a Fontana, come vicario economo in attesa della nomina del nuovo parroco. Tredici mesi più tardi, fu incaricato di svolgere il suo servizio presso la Maternità di Ischia: “Era la casa della madre e del bambino, un’esperienza intensa. Anche perchè allora venivano a dare alla luce i loro bambini anche diverse donne dalla terraferma, ragazze madri che spesso non riconoscevano i bambini. Ricordo una religiosa, suor Flavia. che molto s’impegnava per incontrare queste ragazze, restituire loro un po’ di serenità e convincerle a non lasciare i bambini. E in diversi casi riuscì nel suo intento”.
Poi fu inviato alla parrocchia di San Pietro, in ausilio al parroco Buonocore e ad occuparsi della chiesa del Crocifisso, alla Piripissa “dove seguivo i ragazzi della comunità. Che rimasero male, quando mi fu affidata la parrocchia di Serrara, la più piccola dell’isola e quella mia d’origine”. Proprio quella a cui non aveva pensato e che non si era nemmeno augurato, a dire il vero. “Avrei preferito allora andare altrove, magari a Fontana - confessa sincero - proprio perchè ero di qui e sapevo che sarebbe stato ancora più difficile essere parroco nel proprio paese”. Era il 1976 e da allora, in quasi quarant’anni, il legame profondo con il paese e la sua gente si ancora più rafforzato. “Il mio rapporto con la gente di Serrara lo vedrai sabato sera – dice – Non so neppure cosa stiano preparando, fanno tutto i giovani. Io lascio fare molto a loro, in generale, ho fiducia in quello che fanno”.
L’impatto con la nuova realtà, la sua parrocchia, non fu effettivamente facile. “Anche perchè è vero che la nostra è una piccola parrocchia, ma è composta da due comunità distinte, quella di Serrara e quella di San Ciro al Ciglio, che non sono integrate. Ci sono motivazioni storiche, culturali, di opportunità, per cui gli abitanti del Ciglio non fanno riferimento a Serrara, ma a Panza. D’altra parte, anche il dialetto che parlano è vicino a quello di Panza e non al serrarese”. Ma l’impegno è stato di seguire con la stessa energia e dedizione entrambe le realtà. Un’opera che si è materializzata nella cura dedicata al recupero delle due chiese (con la congrega a Serrara) che gli sono affidate: “Abbiamo cominciato con i lavori qui a Serrara – spiega – La chiesa era piuttosto malridotta, ma con l’aiuto della Provvidenza e di tanti benefattori, siamo riusciti a riportarla al suo splendore e a creare dei servizi essenziali per la vita e le attività parrocchiali. E poi si è iniziato al Ciglio, dove la chiesa aveva bisogno di tanti lavori e tanti ne abbiamo fatti, ma stiamo ancora continuando, grazie all’aiuto di tante persone e all’impegno di Flora D’Andrea, che è stato decisivo”.
CONTADINO E CULTORE DELLA TERRA E DELLA SUA SAPIENZA
Ma don Angelo ci tiene a ricordare “che sono un contadino, figlio di contadini”. L’amore e il rispetto per la terra e i suoi frutti o pratica da sempre e sta cercando di trasmetterlo anche ai giovani, insieme alle tradizioni contadine dell’isola che vanno preservate e valorizzate. Anche per questo di recente è stato chiamato ad un convegno a Napoli sul protocollo di Kyoto, per parlare del cipollone dell’Epomeo e della cicerchia ischitana. “L’agricoltura può essere il futuro anche peri i giovani, che sono sempre di meno in questo nostro paese – dice, con evidente rammarico – Qui a Serrara non ci sono più neppure le elementari e il paese non offre nulla ai ragazzi che crescono e che, per lavorare o mettere su famiglia, si trasferiscono altrove sull’isola o fuori. Così li perdiamo e nascono sempre meno bambini, lo spopolamento è un problema serio. Il ritorno all’agricoltura può rivitalizzare questa terra”.
Tra i propositi per il prosieguo della sua opera c’è l’impegno per i giovani e “il servizio a Dio e ai fratelli. Per avvicinare Dio ai fratelli e i fratelli, senza distinzioni, a Dio. Fin quando il Signore ci darà la forza”. Con quella e con l’esperienza di questi primi 50 anni, prosegue la storia di don Angelo Iacono alla guida della parrocchia natia, saldo punto di riferimento e unico centro di aggregazione per la comunità di Serrara.