Depuratore di San Pietro sul binario morto, ma perchè i politici ischitani si stupiscono?

IMG_0282IMG_0311Ci risiamo con l’ennesimo capitolo della telenovela depuratore a Ischia. Un copione vecchio e sempre più stantio, che si ripete in tutti i suoi paradossali dettagli a comporre una storia ridicola, se non avesse implicazioni straordinariamente serie per tutti. E in questa coazione a ripetere errori e a ripercorrere strade senza uscita, l’unico elemento che suscita ancora stupore è lo stupore con il quale gli amministratori ischitani continuano a reagire davanti a fatti ampiamente noti e a situazioni largamente prevedibili. E già tutte previste, purtroppo. Come se ogni volta atterrassero da Marte e fossero all’oscuro di tutto ciò che si è verificato almeno da quando sono alla guida del Comune d’Ischia. Eppure, tra Sindaco e assessori competenti si tratta ormai di un periodo piuttosto lungo, segnato più volte dalle vicende contorte e controverse dell’”affaire depuratore”, come da rassicuranti anticipazioni circa una ripresa dei lavori che, ogni volta, si rivelano false certezze.

L’ultima della serie, risale all’aprile scorso, quando, dopo un incontro in Regione sugli interventi a Monte Vezzi nel corso del quale si era anche parlato dell’ incompiuta di Punta San Pietro, la ripresa dell’attività nel cantiere abbandonato e disastrato era data come prossima e praticamente sicura. E tutto questo perchè nel frattempo l’Arcadis, l’Agenzia regionale Campania per la difesa del suolo, aveva concluso una transazione con l’Ati, l’associazione temporanea d’imprese assegnataria dell’appalto, per la “modica” cifra di 7 milioni di euro. Dopo la liquidazione dei quali, la ditta assicurava l’immediata riapertura del cantiere. Anche questa una storia già vista: già nel 201o era stata conclusa un’altra transazione con l’Ati dall’allora Commissariato di governo per 1 milione e mezzo di euro, con la garanzia di una ripresa dei lavori passata l’estate, che però non si verificò mai. E d’altra parte, se tutto fosse andato allora nel modo dovuto e sperato, adesso avremmo un impianto  pronto e  infiocchettato, invece del disastro che si “ammira” nel cantiere abbandonato.

Anche stavolta non è andata meglio. E’ notizia (ma la si può ancora definire tale?) di oggi che, durante un incontro con l’assessore regionale all’Ambiente Romano, è emerso che la possibilità di riprendere i lavori a San Pietro è sfumata. Per mancanza di soldi, è stata la spiegazione dell’assessore.  Che ha la competenza di finanziare le opere, che però sono realizzate (o meglio dovrebbero esserlo) dall’assessorato ai Lavori pubblici, da cui dipende l’Arcadis. Peraltro, attualmente priva di un dirigente, non essendo stato sostituito il commissario precedente. Così, non vi sarà alcuna liquidazione all’Ati (che avrebbe dovuto intascare la somma stabilita entro il 5 agosto) e questa non riaprirà il cantiere a Ischia.

Il Sindaco e l’assessore Di Meglio sarebbero rimasti sorpresi per questa doccia fredda, accogliendola anche con una certa indignazione. Reazioni sacrosante, se non fosse che la possibilità di un esito del genere avrebbero dovuto metterla in conto, conoscendo i meccanismi dei finanziamenti per le grandi opere pubbliche e i vincoli che quelli comportano da quanto l’epoca della spesa pubblica incontrollata è tramontata. Quello che prima era possibile e largamente praticato, ovvero anticipare fondi anche consistenti per opere non realizzate, oggi non è più fattibile (per fortuna). E certe risorse possono essere erogate solo per lavori compiuti e certificati. Che non è il caso del depuratore ischitano.

IMG_0304Già, perchè i 7 milioni di euro della transazione con l’Ati sono gli ultimi soldi disponibili del fondo di 17 milioni di euro erogato per la realizzazione dell’impianto di San Pietro. E si tratta di risorse che vanno liquidate all’impresa appaltatrice sulla base della rendicontazione precisa dei lavori man mano eseguiti, cioè non possono essere anticipate a prescindere, sulla base di quello che si dovrà fare. Per cui, con queste premesse, mancavano anche i presupposti per una transazione così impegnativa dal punto di vista finanziario, come quella abbozzata qualche mese fa. Per rendere praticabile la transazione, piuttosto, si dovrebbero impegnare altri fondi, aggiuntivi rispetto al piano finanziario originario, a cui non si potrà attingere se non rispettando il vincolo del collegamento diretto con le opere eseguite. Quindi, finchè non si riprenderà l’attività e non si concretizzerà qualcosa nel cantiere del depuratore, i 7 milioni in cassa là dovranno restare.

D’altra parte, se i 7 milioni fossero stati erogati all’Ati, ci si sarebbe trovati comunque bloccati ad un certo punto dei lavori, per mancanza di fondi. Con il rischio di ritrovarsi punto e daccapo con l’opera ferma e l’impianto non finito. C’è da considerare, infatti, che manca ancora da realizzare ancora almeno il 40 per cento del progetto, che non è poco. Anche dal punto di vista finanziario. Tutti aspetti che non saranno sfuggiti agli amministratori ischitani in questi mesi e che, quindi, non giustificano la sorpresa di oggi, perchè la situazione era tutt’altro che lineare e già risolta. Anzi, la strada della transazione era per forza di cose irta di ostacoli e di rischi. E probabilmente anche discutibile dal punto di vista della linearità, per cui non c’era da indulgere in un facile ottimismo. Che si è rivelato fondato sulla sabbia.

A questo punto, il dubbio su come Arcadis, dunque la Regione, ha gestito la pratica del depuratore di Ischia diventa grande come l’Everest. E come la sensazione che a Napoli si sia andati completamente fuori strada, con pesantissimi danni per Ischia e per l’isola, che vede la sua opera pubblica più vitale abbandonata su un binario morto e senza alcuna foga riparatrice da parte dei competenti organi regionali. Ma neanche di questo, purtroppo, c’è da sorprendersi, visto come è trattata Ischia in Regione dalla sanità ai trasporti, passando per ambiente e lavori pubblici. E con questi chiari di luna, altro che bandiera blu!

 

 

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