Quell’incredibile estate del 1972 alla ricerca di reperti archeologici nella baia di Cartaromana

IMG_0587Fu un’estate davvero indimenticabile, quella del ’72. In seguito sarebbe stata riconosciuta come tale per lo speciale contributo che vi corrispose alla ricostruzione della storia isolana. Ma soprattutto lo è stata e lo è rimasta – indimenticabile – per chi si ritrovò del tutto casualmente, in quel periodo, ad essere protagonista di una storia decisamente speciale, rara e di immutato fascino, a riscoprirla oggi. PIERINO BOFFELLI , che intervistai quarant’anni dopo quell’avventura, custodisce ancora ricordi molto vivi di quella che può essere considerata la prima scoperta di Aenaria, la cittadella di epoca romana di cui, fino ad allora, non esistevano che poche indicazioni di autori antichi e tracce labili che si fondevano e confondevano con storie fantastiche e leggende.

“Era un giorno di agosto – ci raccontò Boffelli – stavo nuotando a Cartaromana con mia moglie e suo fratello. Ad un tratto decisi di immergermi in apnea per catturare due polpi e mentre li cercavo, vidi sul fondo dei resti di una ceramica strana, tra i quali il collo di un’anfora, che avevano tutta l’aria di essere antichi. Li presi e li portai sulla barca. Quando dissi a mia moglie e mio cognato che, secondo me, si trattava di pezzi romani, mi presero quasi in giro. Ma io ero convinto che fossero oggetti particolari, così, nel pomeriggio, andai a farli vedere al professor BUCHNER. Gli bastò guardarli per darmi la risposta: si trattava di pezzi romani del 300 a.C. Parlò di ceramica aretina, di sigillata…Erano davvero oggetti antichi”.

IMG_0919Quell’imprevisto ritrovamento doveva stravolgere le abitudini quotidiane di Boffelli. Deciso a saperne di più su quello che si celava sul fondale di cui aveva appena sfiorato i “segreti”. “Già dalla mattina dopo, cominciai a visitare regolarmente ogni giorno quella zona, munito di bombole per immersioni più lunghe, alla ricerca di altri oggetti simili a quelli che già avevo trovato. Con me s’immergeva anche ROSARIO D’AMBRA e ad accompagnarci in quel primo periodo era il compianto DON PIETRO MONTI, che si occupava di archeologia. Lui restava in barca ed esaminava mano mano gli oggetti che noi riportavamo in superficie. Trovammo dei grossi pani di piombo. Uno, in particolare, pesava 32 chili e portava sopra una scritta: Cn Atelli. Ne trovammo altri, di pani di quel tipo, prima che si spargesse la voce delle nostre immersioni a Cartaromana. E così un giorno arrivò un architetto da Napoli, Di Stefano, e pure un ingegnere che per prima cosa ci chiesero di consegnare tutto ciò che avevamo raccolto fino a quel momento. Cosa che con Rosario facemmo subito”.

Ma l’avventura non era finita, stava semplicemente passando sotto il controllo e la direzione della Sovrintendenza, per trasformarsi in una vera esplorazione archeologica. Condotta con mezzi appropriati e più rigorosi criteri scientifici. E con la totale disponibilità di Boffelli e di d’Ambra, che continuarono ad immergersi nella baia di Cartaromana. “Ci immergevamo tutti i giorni, da una barca attrezzata con un grosso compressore, la “Anna Maria”, e alla presenza dei Carabinieri. A bordo c’era Buchner, che analizzava le cose che recuperavamo a mare. Per esplorare il fondale usavamo la sorbona e questo ci permise di trovare moltissimi reperti. Sul fondo c’erano grossi quantitativi di galena, pani che arrivavano ai 30-40 chili. Questo e tanti altri oggetti indicavano la presenza di una fonderia romana, la fabbrica degli Atelli. Con Rosario eravamo ogni giorno più curiosi e motivati, facevamo a gara a chi riusciva a recuperare più pezzi. Ho cercato a lungo il crogiolo della fonderia, ma non ci sono mai riuscito”.

IMG_0918Oltre alla fonderia, furono trovati anche manufatti significativi: “Trovammo anche una strada di granito, bella larga, che arrivava fino a Cartaromana. E dei resti di muri con intonaci dipinti, di vari colori. E anche tanti chiodi di bronzo, forse di qualche nave”. La strana “pesca” si protrasse per tutta l’estate e oltre e fu molto produttiva: “I tanti materiali recuperati – spiega Boffelli – furono sistemati provvisoriamente alle terme comunali, poi trasferiti nel deposito che aveva Buchner (quello della Sovrintendenza a Lacco Ameno, ora trasferito alla Torre di Guevara). E alcuni sono adesso nel museo di Lacco Ameno”.

Quell’impresa, “a cui ci dedicammo anima e corpo per tre-quattro mesi”, fu comunicata per la prima volta al grande pubblico da un articolo uscito il 29 ottobre ’72 sul “Giornale d’Ischia”. “Ma arrivò pure la televisione, fu mandato un servizio dal telegiornale, che io però non vidi”. Quando la campagna archeologica estiva finì, infatti, Boffelli lasciò Ischia per trasferirsi in Danimarca, dove ancora risiede per buona parte dell’anno. A parte i mesi della bella stagione che trascorre immancabilmente a Ischia. Dove, dopo tanto tempo, si parla di nuovo di Aenaria. Sulla ripresa  dello scavo interrotto nel ’72 ci disse: “Ho saputo di queste nuove ricerche, non so che rapporto ci sia con quelle che furono fatte allora. All’epoca fu fatta una planimetria di quello che avevano trovato sul fondale e furono scattate anche molte foto. Comunque, sono sicuro che il meglio di quello scavo a Cartaromana deve ancora arrivare”.

Qualunque ne sarà l’esito, Boffelli il meglio di quell’esperienza lo ha già conosciuto e lo tiene vivo dentro di sé: “A pensarci, ancora oggi, provo un colpo al cuore. Spiegare l’emozione che provavo ogni volta che riportavo su ogni singolo pezzo, è impossibile. Ancora mi viene la pelle d’oca. Ci abbiamo messo tutti noi stessi, quell’estate, e la soddisfazione di quella scoperta è stata grande e lo è ancora oggi”. Come se il tempo non fosse passato.

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