E a Roma si parla del prezioso sarcofago di Bethesda ischitano

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Foto Qui Ischia

“Monumento di una straordinaria importanza, e altrettanto insigne, quanto universalmente poco noto” è la frase con cui Domenico Mallardo, agli inizi degli anni Cinquanta, presentò la lastra frontale di un sarcofago, conservata da tempo nel palazzo vescovile d’Ischia, ma quasi completamente misconosciuta. Un prezioso reperto antico che, con i suoi simili, ovvero i

sarcofagi del gruppo Bethesda”, in questi giorni è al centro dell’attenzione degli studiosi a Roma, all’interno delle mura vaticane, dove è conservato un suo più noto “gemello”. Di età teodosiana, databile tra la fine del secolo IV e gli inizi del V, la lastra marmorea ischitana è lunga metri 2,08 e larga metri 0,58 ed è esposta nell’atrio del Palazzo vescovile di Ischia.

Gli esperti definiscono come “sarcofagi del gruppo Bethesda” quei sarcofagi cristiani antichi che presentano nel centro la scena della guarigione del paralitico a Gerusalemme, presso lo stagno di Bethesda o Betsaida. Gli esemplari conosciuti sono una decina, ritrovati a Roma, in Francia, in Spagna e in Africa. I più famosi e anche gli unici con il reperto ischitano arrivati fino a noi intatti e con i quali, infatti, sono stati effettuati i confronti per l’identificazione del sarcofago dell’Episcopio, sono il Lateranense, esposto nei Musei Vaticani e considerato dagli esperti il prototipo del gruppo, e quello di Tarragona, in Spagna.

I BASSORILIEVI DEL SARCOFAGO ISCHITANO

La raffigurazione dell’esemplare ischitano è molto simile a quella del sarcofago Lateranense. Da sinistra verso destra si evidenzia una porta di città merlata, a seguire tre riquadri formati da coppie di colonne scanalate a spira: sulla prima coppia poggia un architrave, sulla seconda un frontone triangolare e sulla terza un arco. Nella scena al centro, del paralitico, si notano tre archetti che poggiano su pilastrini scanalati. Un’altra porta merlata chiude a destra la lapide marmorea. I riquadri raffigurano di seguito: Gesù che guarisce i due ciechi; Gesù che guarisce una donna, forse la malata di emorragie, ma le interpretazioni sono diverse; la guarigione del paralitico, il tema centrale che connota questa tipologia di sarcofago; Zaccheo sul sicomoro; l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. La scena centrale della guarigione del paralitico è divisa in due registri da un listello ondulato, che sembra evocare il movimento dell’acqua nella piscina di Betsaida. In primo piano, c’è il paralitico disteso sul letto, intorno quattro figure. Nella parte superiore c’è il Cristo che ha di fronte il paralitico già risanato e in piedi, che infatti cammina verso destra con il lettino sulle spalle. Una particolarità del sarcofago ischitano è la presenza, nella scena dell’ingresso in Gerusalemme, di un puledro con le orecchie dritte, sotto la pancia di un’asina. Negli altri sarcofagi, l’asinello è spesso raffigurato, ma quasi sempre con la testa abbassata a brucare a terra. L’unico sarcofago dove è presente il cucciolo di asina secondo la descrizione riportata nel Vangelo di Matteo (Matt. XX, 5) è quello ischitano.

COME ARRIVO’ A ISCHIA?

Per quanto riguarda l’arrivo della scultura ad Ischia è avvolto nel mistero. Si è ipotizzato che la lastra provenisse da Roma e fosse arrivata sull’isola per essere utilizzata come coperchio, nel 1388, del sarcofago di Giovanni Cossa, padre di Baldassarre, l’antipapa Giovanni XXIII, e che quell’artistico sepolcro fosse collocato sulla porta d’ingresso della Cattedrale del Castello. Secondo un’altra ipotesi, il pregevole marmo sarebbe arrivato inizialmente a Lacco Ameno, dove gli scavi di Santa Restituta hanno dimostrato che nel IV secolo già vi si professava la religione cristiana e vi era anche una basilica. Da Lacco sarebbe finito sul Castello quando, a seguito della distruttiva invasione dei Mauri nell’estate dell’812, la popolazione in fuga si rifugiò nella fortezza dell’Insula Minor, portando con sé le cose che aveva più care.

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