Vope e mennelle. Rotondi e castardelli. Sono solo alcune delle specie che una volta arrivavano spesso sulle tavole degli ischitani. E, prima ancora, nelle reti dei pescatori. Una volta. Perchè adesso sembrano scomparse, introvabili. Nelle reti e, di conseguenza, sulle tavole. Il segno evidente e non effimero che qualcosa è cambiato nel nostro mare. E non in meglio, come si confidava che potesse avvenire con l’istituzione dell’Area Marina Protetta sette anni fa. Una novità che aveva suscitato tante speranze e, in controtendenza rispetto a quanto si era verificato nel resto d’Italia e senza andare troppo lontano nella stessa Procida, soprattutto tra i pescatori. Che la vedevano come l’occasione di una svolta, di una rivalutazione del loro lavoro. E come portatrice di nuove opportunità e prospettive anche per i giovani, costretti dalle circostanze a non dover prendere più neppure in considerazione l’ipotesi di seguire le orme dei padri e quasi sempre di parecchie generazioni di antenati. Grandi attese che hanno lasciato il posto a una grande disillusione. Che nasce e si rafforza a mare, ogni volta che arriva il momento di fare il bilancio di una giornata di duro lavoro.
Perfino i polpi sono stati prede rare questa estate. Un altro campanello d’allarme, naturalmente colto solo da chi a mare ci è nato e cresciuto, fino a conoscerne le caratteristiche, le potenzialità e anche le sempre più evidenti criticità, di cui ha contezza (le une e le altre) nella sua quotidianità. E tra i fattori che creano preoccupazione c’è la scarsità di pesce, soprattutto sotto costa. Dunque, all’interno del perimetro del “Regno di Nettuno”. E questa è un’aggravante, perchè nell’area sotto tutela si dovrebbe riscontrare l’effetto opposto. Si chiama proprio “effetto riserva” e consiste nel ripopolamento delle specie ittiche e in generale della fauna marina nelle AMP, la cui funzione primaria poi è proprio quella. Lo si era osservato pure a Ischia, all’inizio. Nei primi anni, dopo l’istituzione del Regno, l’inversione di tendenza c’era stata eccome. Molto più di una semplice percezione condivisa dai frequentatori abituali del nostro mare, a cominciare proprio dai pescatori. Grazie alle nuove regole e ad una gestione più oculata della risorsa, il sistema incentrato sulle praterie di Posidonia aveva ricominciato a funzionare come oasi di ripopolamento, come nursery per le varie specie di pesce. E quella condizione avrebbe dovuto solo consolidarsi e migliorare. Invece, il progresso non ha tenuto e si è trasformato in un ritorno al passato. Che oggi, più che a una prospettiva favorevole, fa pensare ad un’occasione mancata.
Quando si era cominciato a fare sul serio, rispetto al progetto dell’istituzione di un’Area marina protetta delle Isole Flegree, cioè poco prima del 2000, a Ischia si era registrato subito un inconsueto sostegno dei pescatori locali. Roba che non si era mai vista altrove. Non c’era riunione o dibattito in cui la categoria solitamente più ostile alle aree marine non ribadisse il suo appoggio all’idea del “Regno di Nettuno”, motivandolo come l’unica possibilità di garantire un futuro all’attività tradizionale di pesca sull’isola, altrimenti destinata ad estinguersi. Alla base di quella loro presa di posizione netta e inequivocabile – lo ricordano bene, i pescatori – c’erano state delle condizioni, che si era convinti che l’Area Marina avrebbe potuto soddisfare: la tutela della piccola pesca esercitata dai pescatori professionisti locali e, specularmente, maggiori e più stringenti limiti e controlli per contrastare i pescatori non autorizzati e soprattutto lo sforzo di pesca esasperato e sempre più distruttivo ascrivibile alle marinerie “forestiere” anche nelle zone più delicate per l’equilibrio delle specie, con l’aggiunta di una seria soluzione al problema della depurazione. Quest’ultimo non è compito specifico delle Aree marine, ma certamente dove c’è un’Amp logica vorrebbe che non vi fossero centinaia di scarichi fognari e di cloache che sversano a mare. Insomma, il “Regno” si credeva che potesse essere un incentivo forte a dotare finalmente l’isola di impianti di depurazione efficienti, per eliminare alla radice uno dei mali peggiori del nostro territorio, a mare come a terra.
Sette anni dopo la nascita del “Regno di Nettuno”, le condizioni-aspettative-speranze dei pescatori isolani sono rimaste tutte prive di riscontri veri. La loro tutela speciale, prevista dai decreti istituitivi come in tutte le altre Aree Marine, ha finito con l’essere progressivamente erosa da provvedimenti giudiziari e da decisioni “politiche” a vantaggio dei “forestieri”, mettendo ancora una volta all’angolo i pescatori professionisti locali che utilizzano mestieri di minore impatto sull’ambiente marino. I controlli sulle attività di pesca intensiva, che impoveriscono il mare e che coinvolgono anche le zone più delicate e strategiche per il ripopolamento, sono per forza di cose insufficienti e inadeguati. E così altro che “effetto riserva”! E poi il nemico numero uno: la mancata depurazione e gli scarichi a mare che sono indicati come i principali responsabili dell’impoverimento del nostro mare. E del diradamento, per non dire perdita, di specie animali che, invece, dovrebbero essere molto presenti grazie alla Posidonia. “Con le praterie che abbiamo e le due secche di Ischia e di Forio – e il commento di un pescatore di grande esperienza – il nostro dovrebbe essere un mare pieno di pesce e proprio più vicino alla costa, e invece non ce ne sta! Come si spiega questa cosa? Tutto il cloro che finisce a mare e gli sversamenti che ci sono, quello è il primo problema”. Già. Ma chi se ne occupa? E per Area Marina Protetta, che sta fallendo nella gestione sostenibile della risorsa mare e nella tutela dell’economia ad essa legata, chi dobbiamo ringraziare?