Diciotto minuti. E’ questo ormai il tempo che ciancioli e strascichi impiegano per salpare le reti. Un’operazione veloce, quasi record, che si consuma spesso nel nostro mare. Dovunque. Non di rado anche lì dove non dovrebbe avvenire. Anzi, dove sarebbe assolutamente vietato che avvenisse. Perché gli anni passano, ma il problema delle incursioni abusive di ciancioli e strascichi all’interno del “Regno di Nettuno” non si è riusciti ancora non solo a superarlo, ma neppure a limitarlo. E le moderne tecniche di pesca, con quei tempi di recupero delle reti così brevi, assicurano un vantaggio indiscutibile a quanti non rispettano i limiti e le prescrizioni dell’Area Marina Protetta. Con conseguenti e perduranti violazioni delle zone con il più alto grado di tutela. Ovvero, le zone A e le B no take, da sempre nel mirino dei pescatori più “disinvolti”. Compresi vari equipaggi che provengono da altre parti del golfo o anche da fuori, secondo la peggiore prassi che si è creata dopo l’istituzione dell’Amp delle Isole Flegree.
In queste condizioni, lo sforzo di pesca resta alto, anche nei tratti di mare che la realizzazione del parco marino avrebbe dovuto preservare per una fondamentale funzione di ripopolamento. Che poi è tra le finalità primarie delle aree marine. E invece nel “Regno” sembra essere piuttosto depotenziata, quella funzione, visto che non ci sono segnali evidenti di quell’ “effetto riserva” che è caratteristico delle aree marine. Quando tutto procede nel verso giusto, il che vuol dire che le zone di maggiore tutela come le A (e le B no take nel caso del nostro “Regno”), preservate dal prelievo di pescato, offrono condizioni ideali per la riproduzione e per l’aumento delle popolazioni delle varie specie. Di cui beneficia progressivamente l’intera area protetta e quindi anche le zone all’interno delle quali la pesca è consentita, ovviamente con metodi sostenibili. Che non sono certo quelli dei ciancioli e degli strascichi. Tanto più quando imperversano ovunque.
Eppure, nei primi anni dopo l’istituzione del “Regno di Nettuno” i primi segnali di una ripresa della pesca si erano visti eccome. Sia a livello di quantità che di qualità del pescato. Compresa qualche specie divenuta abbastanza rara nel nostro mare. Gli stessi effetti che si sono riscontrati in tutte le aree marine e che in molti casi si sono rivelati decisivi per farle accettare da comunità inizialmente scettiche quando non apertamente contrarie. E talvolta le nuove possibilità di sviluppo della pesca, oltre alle potenzialità di crescita legate ad un turismo eco-compatibile e di qualità, sono state anche all’origine delle richieste, partite dal territorio, di ampliare alcune aree protette, inserendovi altri tratti di mare. La migliore dimostrazione che i parchi marini servono e possono portare ricchezza, quando funzionano.
Rispetto a questi esempi, il “Regno di Nettuno” sembra andare in controtendenza. Con il passare del tempo, infatti, i progressi iniziali non solo non si sono rafforzati e moltiplicati, ma sembrano essersi dissolti. Un po’ troppo velocemente, verrebbe da commentare. Una evoluzione (si fa per dire) che andrebbe valutata a fondo, per ridare slancio al “Regno” soprattutto sul fronte della tutela e del ripopolamento, che sono i presupposti fondamentali per far ripartire seriamente la pesca e con una prospettiva nel medio e lungo periodo. E anche per dare un senso all’esistenza dell’Amp di Ischia, Vivara e Procida.
Diciotto minuti, un lampo. Un periodo di tempo talmente ristretto da mettere al riparo anche dai controlli più tempestivi e superveloci. Che non sono, peraltro, la normalità nel nostro mare, dove la nascita dell’area marina non è stata accompagnata da un incremento significativo della sorveglianza, soprattutto di notte, quando si verificano, in ogni stagione e con ogni situazione meteo, le incursioni di pescherecci non autorizzati. Che continuano a spingersi anche nelle zone B no take, come il Banco d’Ischia, e fin sotto costa, perfino sotto il Castello. Dove la profondità è sicuramente al di sotto dei 50 metri che, secondo una sentenza del Tar, sono da considerarsi il limite per la pesca dei ciancioli e degli strascichi anche all’interno del perimetro dell’Amp.
Così, più che il pesce, ad aumentare nel “Regno di Nettuno” sono i paradossi. Quello di un’Area marina ampiamente violata dove ad essere penalizzati sono proprio i pescatori che praticano metodi consentiti e che, anzi, dovrebbero essere favoriti e sostenuti. E quello delle incursioni illegali di pescherecci “forestieri”, mentre le altre marinerie del golfo continuano a contestare e finanche a promuovere azioni legali con l’obiettivo di scardinare una dopo l’altra tutte le tutele e i vincoli che danno senso all’esistenza dell’Amp e che dovrebbero garantire l’economia peschereccia delle isole. Con buona pace dei Sindaci isolani, che sull’Area marina (di cui i sette Comuni sono gestori) sprecano tutte le loro energie a beccarsi come i polli di Renzo. E con buona pace del Ministero dell’Ambiente, titolare dell’Area, che resta a guardare, sempre più lontano e distratto.