Mattinata di fine ottobre, splendente di sole. Un autunno che sa ancora d’estate. Sulla riva sinistra del porto brillano ancora le bandierine appese per la recente festa dei 160 anni. E’ la giornata ideale per una passeggiata lungo la sponda di quello che fu un lago. La stessa idea deve averla avuta una coppa di turisti tedeschi, in abiti leggeri e macchina fotografica al collo. A distanza di pochi metri, gli sguardi sono catturati dalle stesse immagini. Molto varie e, soprattutto, contraddittorie. In modo probabilmente del tutto inaspettato per i due stranieri, perchè è difficile spiegarsi certe incredibili, incresciose situazioni in uno dei luoghi più rappresentativi dell’isola, che solo un mese e mezzo fa abbiamo celebrato in pompa magna, evidenziandone le tante peculiarità ambientali e storiche. Peccato che tanta (giusta) esaltazione e tante dimostrazioni e dichiarazioni di spassionato amore non siano servite a sanare certe “cosarelle” che hanno parvenza e sostanza di vergogne, grandi e piccole, più o meno datate, che potremmo- e dovremmo – fare a meno di esibire a noi stessi e ai nostri ospiti.
Avvisto la coppia prima della pompa di benzina, mentre osservo su un lato della strada una montagnola di “monnezza”, tanto per non perdere l’abitudine, io. Loro non possono non vedere e questo è già un motivo di rincrescimento. E di imbarazzo. Solo il primo della serie, purtroppo. Poco dopo, mentre sto affacciata dal ponticello su cui passa la strada, all’altezza della Pagoda, attirano la mia attenzione delle macchie di lussureggianti papiri, che crescono nel terreno sottostante. Peccato che tutt’intorno ci siano lamiere rugginose, erbacce e rifiuti, tra i quali campeggia un grosso verricello arrugginito, abbandonato là chissà da quanto tempo. E che ora, a quanto pare, fa parte del paesaggio.
Rivedo la coppia mentre cerca di raggiungere la riva del porto facendo una vera e propria gimkana fra copertoni buttati in buon numero, insieme a un bel po’ di altri rifiuti, che insozzano un angolo ideale per ammirare l’ingresso del porto e lo spettacolo dell’arrivo di un aliscafo, a cui dedicano diversi scatti. Per fortuna, non hanno inquadrato gli pneumatici nè la “monnezza” in cui si sono imbattuti, ma i loro commenti li hanno fatti eccome, passando in mezzo a quello schifo.
Sull’estremo limite della banchina il profumo intenso del mare e i pescatori che attendono con pazienza un guizzo dalle lenze restituiscono l’atmosfera del luogo, insieme alla vista sempre affascinate del faro e, dall’altra parte, il bel profilo della collina di San Pietro con la sua vegetazione selvaggia in cui è incastonata la sommità di Villa Dohrn, che si distingue per il contrasto del rosso pompeiano
e del bianco della copertura tra il verde, intenso e compatto. Dietro, si apre la scalinatella di pietra che porta al parco pubblico. Si sale piacevolmente accompagnati da piante ricadenti color argento e ci si trova sul belvedere con vista mozzafiato. Bellezza senza limiti, basta tenere alto lo sguardo, perchè in basso, sul muretto, qualche deficiente non si è risparmiato con le bombolette spray per delle orribili scritte che imbrattano e imbruttiscono l’ambiente. Sono saliti anche i tedeschi, che ovviamente si fermano a guardare il panorama e a fare foto. E che, però vedono anche le scritte. E, fatti i primi passi dentro il parco, pure le aiole senza cura, i cumuli di aghi di pino con i resti del passaggio incivile di chi non trascura di disfarsi di cicche e rifiuti dove capita. L’altro belvedere successivo, dopo pochi passi, rivela la possanza delle onde che s’infrangono su una spiaggetta, in fondo alla quale altra sporcizia. Ubiquitaria? Così pare.
All’interno, c’è il sedile di cemento, smozzicato, al di la del quale, tra i rami dei pini, si rivela uno squarcio di pura bellezza con un’altra veduta del porto. Ma mai abbassare lo sguardo…al terreno degradante verso il livello inferiore del parco, perchè anche lì rifiuti ovunque, tra l’erba secca e le piante. Si scende per il vialetto, le luci sono nuove, ma tutto il resto nel giardino dà
l’impressione di un prolungato abbandono e di una carenza di manutenzione. Come non notare le finestre inchiodate con assicelle di legno dei locali dove dovrebbero trovarsi i bagni a disposizione del pubblico, tutti rigorosamente chiusi con i lucchetti? E, di lato alla costruzione, un cumulo di “sfraucatura”, “monnezza”, pezze. Altro spettacolo per i turisti, insieme al cassonetto stracolmo e in bella vista vicino all’ingresso. I tedeschi sono dietro, a pochi passi, e parlottano. Possibile che non abbiano notato nulla di ciò che sarebbe meglio non notassero? Speriamo.
Ma come non “ammirare” l’erbaccia secca, il simbolo del degrado, intorno al cancello e all’esterno, proprio all’entrata principale del parco della Pagoda? Anche i tedeschi avranno registrato, poi magari, dopo quello che hanno già visto, non ci avranno fatto più caso. Ma che tristezza, doversi augurare che i visitatori forestieri abbiano problemi di vista in un posto che avrebbe tutte le carte in regola per essere soltanto dispensatore di bellezza e di emozioni. Siamo sempre alle solite: riusciamo a rovinare anche il meglio. Eppure, molti di quegli sconci potrebbero essere eliminati in poco tempo, se lo si volesse, responsabilizzando di più anche la cittadinanza. Ma si preferisce far finta di nulla…il nostro modo di fare turismo!