Quell’estate del ’96 quando le opere di Morandi incontrarono per la prima volta la luce del Sud

IMG_0636Ad ospitarla è il Vittoriano, il complesso museale presso il Monumento al Milite Ignoto, che da anni è diventato uno dei principali punti di riferimento espositivi per l’arte del Novecento. Si è aperta da pochi giorni a Roma una grande mostra di opere di Giorgio Morandi, che si segnala già come l’evento culturale della primavera, per la Capitale e non solo. E’ sempre forte, infatti, il richiamo dell’artista bolognese, considerato uno dei dieci massimi italiani del secolo scorso. E ad accrescere l’interesse per questa personale è il numero eccezionale delle opere presentate, circa 150 tra cui un centinaio di quadri, riconducibili all’intero arco della produzione del maestro scomparso nel 1964, ma anche il fatto che una mostra di Giorgio Morandi mancava da Roma da oltre quarant’anni, dal ’73 per l’esattezza, e anche allora si trattò di appuntamento impedibile per gli appassionati d’arte. Un buon motivo, per visitare l’esposizione in corso, che si protrarrà fino al prossimo giugno. Ma anche l’occasione per ricordare uno dei più importanti appuntamenti culturali che l’isola d’Ischia abbia accolto negli ultimi vent’anni. Già, perchè il privilegio, abbastanza raro in Italia, di aver accolto un’ampia personale di Morandi ce l’ha avuto anche Ischia e nel suo luogo più rappresentativo e conosciuto, il Castello Aragonese.

Era il 29 giugno del 1996. Un sabato d’estate e una sera di luna piena, quando un gran numero di visitatori, compresi numerosi forestieri alcuni dei quali appositamente sbarcati sull’isola, salì sul Castello, affollando la piazzola con vista sull’Insula Maior davanti all’ingresso della Chiesa dell’Immacolata. A richiamarli in così gran numero era un altro appuntamento speciale con i grandi maestri del Novecento, dopo la mostra dell’anno prima dedicata a Manzù. A proseguire quel progetto era una mostra di opere di Giorgio Morandi, frutto della collaborazione del Museo Morandi di Bologna con le Manifestazione del Castello Aragonese, curate da Gabriele Mattera, che operavano a loro volta con il Comune di Ischia- sindaco Giovanni Buono e assessore alla Cultura Giovannino Di Meglio –  e la Regione. Una felice sinergia, già sperimentata con successo per Manzù (e l’anno dopo per un’altra grande mostra di De Pisis), che rese possibile legare il nome di Ischia per l’intera estate ad uno dei maggiori eventi culturali in programma in Italia in quell’anno.

IMG_2257Quella ideata per Ischia, infatti, era una mostra con molti aspetti di eccezionalità. Innanzitutto, non si era mai tenuta nessuna esposizione del maestro bolognese nel Mezzogiorno, nè in vita nè dopo la sua morte. Tra l’altro, le personali in Italia erano abbastanza centellinate, mentre più frequenti all’estero, dove raccoglievano sempre grandi successi di pubblico e di critica. E si trattava anche di una sfida particolare per il Museo Morandi, che si era aperto nel cuore di Bologna solo tre anni prima. Per la mostra ischitana, infatti, erano state scelte opere provenienti in gran parte da collezioni private, dunque raramente presentate in pubblico e in qualche caso molto poco note e alcune assolutamente inedite per l’Italia, e poi la selezione di dipinti, disegni e acqueforti era stata fatta prestando grande attenzione alle caratteristiche del luogo che doveva ospitarli.

Un luogo inconsueto e rischioso. Già quando lui era in vita, infatti, i maggiori critici di Morandi ne avevano sottolineato la particolare ricerca sulla  e della luce e in particolare Francesco Arcangeli aveva parlato di “antisolarità” e “antimediterraneità”. Perciò la curatrice della mostra Marilena Pasquali evidenziò nella presentazione al catalogo: “E allora non resta che provare, come in un dilatato laboratorio dagli aerei confini, ad esporre la sua pittura alla luce del Mediterraneo, per vedere se e come questa saprà reagire all’intensità sensoriale della terra rossa calda di sole e dell’acqua blu, arricciata di spume bianche che non conoscono la quiete. La sua luce, così intima e raffinata, ne resterà stordita, quasi appiattita, oppure saprà reagire, alimentarsi di vita inattesa e, senza snaturarsi, arricchirsi di nuovi, inediti, riflessi?”.

La sfida era partita molti mesi prima, quando la Pasquali era stata sul Castello e aveva incontrato Gabriele Mattera. “Conoscevo già la serietà e la professionalità con cui venivano realizzate le manifestazioni culturali sul Castello – mi raccontò in un’intervista- Quando sono venuta, la mostra di Manzù era appena finita, c’erano ancora i pannelli qui nella chiesa. Vidi lo spazio allestito, bianco, esaltato da quella luce unica che spiove dai finestroni, la sublimazione della luce ischitana, e pensai che il gioco poteva valere la candela”. L’intuizione si rivelò subito felice, fin da quando le opere, una ad una, furono collocate nella chiesa (i dipinti) e negli spazi vicini (i disegni e le acqueforti) secondo l’allestimento progettato e curato con Nicola Mattera. “Per mesi mi sono chiesta come i quadri di Morandi mi sarebbero apparsi sotto questa luce mediterranea – disse la Pasquali – E ora che mi trovo dinnanzi a questo originalissimo effetto, mi rendo conto a decidere di aver fatto bene ad esporre qui”.

Fu una grande mostra. Un appuntamento di grande richiamo, di rilievo internazionale e l’isola se ne avvalse  e se ne giovò per tutta l’estate.Un evento culturale di grande fascino. Unico e irripetibile, per quella luce del Sud che per la prima volta poté congiungersi naturalmente con la luce che Morandi aveva filtrato e distillato per i suoi paesaggi e le sue nature morte nello studio bolognese di via Fondazza e nella campagna di Grizzana.

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