Hanno fatto davvero un gran lavoro, le tre diverse équipe della Scuola del Restauro dell’Università di Dresda, che hanno operato all’interno della Torre di Cartaromana dal 2011 ad oggi. Già, oggi, perchè in questa data del 13 marzo si è conclusa la terza e ultima annualità del programma concordato tra il Comune d’Ischia, la Sovrintendenza ai Beni culturali di Napoli e Provincia e l’università tedesca, auspice il Circolo Sadoul. E non poteva esserci, dunque, migliore occasione per tenere la conferenza stampa di chiusura alla Biblioteca Comunale Antoniana, presente il professor Thomas Danzl, il direttore della Scuola di Dresda, che ha fortemente voluto questa operazione a Ischia, seguendola personalmente anno dopo anno, passo dopo passo. E senza farsi scoraggiare dalle tante difficoltà pratiche che si sono presentate, in particolare legate alla mancanza di fondi che l’anno scorso impedì persino il regolare svolgimento del terzo stage della serie. Recuperato poi quest’anno grazie alla determinazione di Danzl che, pur di non lasciare a metà il lavoro iniziato, ha comunicato che il gruppo impegnato a Ischia si sarebbe pagato anche il viaggio, oltre a mettere a disposizione, come negli anni passati, tutti i materiali e le attrezzature necessari per il restauro. E siccome il Circolo Sadoul ha provveduto all’ospitalità per tre settimane delle laureande venute dalla Germania e di Danzl, si è potuto chiudere un cerchio che ha portato solo benefici a Ischia. Come ha giustamente evidenziato nella sua presentazione all’Antoniana Giorgio Brandi, in rappresentanza del circolo culturale isolano. Con l’auspicio che si possa proseguire l’esperienza avviata, per completare il recupero dei dipinti appena riportati alla luce alla Torre. Che saranno visibili al pubblico nel prossimo fine settimana grazie alla Giornata del Fai.
“E’ stata un’occasione unica per lavorare su questa splendida isola – ha esordito Danzl - tanto attraente soprattutto per noi che veniamo dai Paesi del nord. Qui mi sento a casa, siete tanto ospitali da commuovere”. Poi, entrando nel vivo del lavoro svolto, ha sottolineato che i risultati ottenuti sono andati ben oltre le sue aspettative iniziali: “Sotto lo scialbo delle pareti c’era il rischio di non trovare niente”, ha spiegato. E invece l’opera di rimozione dei diversi strati di intonaco, circa una ventina di diverse epoche, tra i quali alcuni decorati riferibili al ’700 e all’800 (che sono stati documentati in tutti i dettagli prima di essere rimossi con l’accordo della Sovrintendenza tranne che per un “cameo” conservato a titolo dimostrativo), ha consentito di far riemergere le pitture murali che – come ha dimostrato questa nuova stagione di interventi – occupano interamente la sala centrale del piano nobile. Dal pavimento al soffitto, fatta eccezione per parte della volta, crollata nel Settecento a causa di infiltrazioni d’acqua. Che non mancano neppure oggi e che mettono seriamente a rischio sia le pitture appena ritrovate che la struttura stessa del monumento di Cartaromana. E non è mancato, da parte di Danzl, un appello accorato e preoccupato circa la tutela della Torre, fondamentale anche per la salvezza dei dipinti.
Questi ultimi, una volta completata la loro scoperta e rimesse al loro posto non senza fatica e con grande perizia tutte le tessere di un complesso mosaico, hanno rivelato aspetti assolutamente imprevedibili e soprattutto straordinari. Innanzitutto, si tratta di opere di ottima fattura, realizzate con oli e tempere e con pigmenti di qualità. E da due artisti diversi, anche per provenienza e cultura di origine. E, dunque, modelli di riferimento. Seppure ottimamente armonizzate, infatti, le pitture, per le quali è stata confermata la datazione del 1560, sono riconducibili a precise e differenti influenze. La gran parte dei decori, compresa un’ampia fascia sotto il soffitto e gli spazi intorno alle finestre, è a grottesca, secondo uno stile che si era diffuso in Italia proprio nel Cinquecento dopo la scoperta della Domus Aurea e dei suoi magnifici affreschi. E sempre riconducibili ad uno stile italiano è la presenza di figure mitologiche e fantastiche, che evocano ampiamente le decorazioni di età romana. Ma nella sala sono presenti anche diversi cartigli e paesaggi, per nulla riferibili all’isola, che Danzl ha definito “capricci” e che rievocano un gusto arcadico sempre in voga nel Cinquecento, che peraltro si riconnette perfettamente all’idea progettuale della Torre come Eden domestico e come residenza di campagna. Ma le scene campestri e le vedute denotano chiaramente un influsso fiammingo, come già ipotizzato da Danzl due anni fa. Insomma, l’artefice di quei lavori sarebbe arrivato dalle Fiandre, come non era raro in quell’epoca, in particolare sia a Roma che a Napoli. Una influenza internazionale inaspettata a Ischia. Ma ancora più raro è il “melting pot” artistico evidenziato nella Torre che, molto frequente in altri Paesi d’Europa, non conosce altri esempi in Italia.
Il lavoro compiuto nelle ultime settimane ha consentito anche di fare chiarezza sulla committenza e sul contesto storico delle pitture. L’intera stanza doveva celebrare le glorie della famiglia Guevara, proprietaria del complesso dirimpettaio del Castello. A dimostrarlo ci sono gli stemmi di famiglia, le iscrizioni in latino per quanto leggibili e alcune pitture. Quel Guido citato in una delle iscrizioni scoperte due anni fa, non era il pittore come si era creduto allora, ma un antenato illustre dei Guevara, di cui si è cercato di ricostruire l’identità, arrivando alla conclusione che fosse vissuto nel Medio Evo e che avesse combattuto per il re di Bretagna. Mentre la scena di battaglia della Torre ricostruisce la celebre battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212, nella quale il re di Navarra riportò una grande vittoria contro i mori. Secondo l’iscrizione, vi partecipò il conte di Onate, che era il feudo al confine tra la Navarra e l’Andalusia dei Guevara, il cui nome deriva dall’arabo “al ghevala”, che indicava la vasta pianura di quella contea. Dunque i dipinti hanno svelato particolari inediti della storia di una delle casate storiche dell’isola nel Rinascimento, legata da parentela ai D’Avalos.
Ma i dipinti potranno raccontare anche altro, se si riuscirà a completarne il restauro e a tutelarli nel modo più appropriato. Danzl si è detto disposto con i suoi allievi a seguire anche le fasi di “rifinitura” del lavoro appena compiuto. Adesso tocca al Comune e alla Sovrintendenza decidere se rinnovare o meno la convenzione con la Scuola di Dresda che scade quest’anno.