Domani al Poli Le Troiane di Euripide, un grido coraggioso e attuale. Dopo 24 secoli

le troiane (3)Gli autori comici del suo tempo, che non risparmiarono scherzi nel ricostruirne le origini e nel tratteggiarne il carattere, lo descrivevano come un misogino. A smentire quella ingiustificata fama, le tante donne che, singolarmente o in gruppo, Euripide volle protagoniste delle sue opere: Alcesti, Medea, Elena, Ecuba, Elettra, Ifigenia, Andromaca e ancora Le Fenicie, Le Baccanti, Le Supplici. E LE TROADI o TROIANE (Τρώαδες il titolo originale), una delle opere considerate più belle e significative dell’immensa produzione del grande poeta di Salamina, autore di 92 drammi, dei quali sono giunti fino a noi 17 tragedie e un dramma satiresco (Il Ciclope), unitamente a vari frammenti, in qualche caso anche molto estesi. L’opera che domani sera, in concorso per il Premio Aenaria 2015, sarà portata in scena dalla COMPAGNIA ARTE POVERA di Mogliano Veneto. Esattamente 24 secoli dopo la sua prima rappresentazione, che avvenne nel marzo del 415 nel Teatro di Dioniso ad Atene. Dove fece scalpore, perché trasfigurava attraverso il mito vicende di stretta attualità e denunciava coraggiosamente le nefandezze della guerra, di cui anche la città faro della civiltà greca si era recentemente macchiata.

Il duro destino toccato in sorte alle donne troiane dopo la caduta della loro città, messa a ferro e fuoco dai greci, Euripide lo aveva già trattato in precedenza, attraverso le storie di alcuni personaggi femminili già presenti nell’Iliade e nei poemi collegati alla guerra di Troia. Ma è nelle Troiane che l’autore ricompone nella sua complessità e drammaticità il quadro della dura sorte che la violenza e la sopraffazione riserva sempre ai vinti, e in particolare alle donne, vittime inermi dell’odio e della sete di vendetta dei vincitori in tutte le guerre. In ogni epoca.

Protagoniste del dramma sono mogli, madri, figlie e sorelle degli eroi troiani, che dopo dieci anni di resistenza, sono stati sconfitti dall’astuzia degli assedianti greci e uccisi. Per loro, testimoni impotenti e presaghe delle crudeltà della guerra, si prepara un futuro di deportazione e schiavitù, assegnate come oggetti senza volontà ai vincitori: CASSANDRA, destinata ad Agamennone; ANDROMACA, vedova di Ettore; a Neottolemo e l’anziana ECUBA, moglie del re Priamo, ad Odisseo. A loro, che hanno già assistito alla decimazione dei  familiari, non sono risparmiati gli ultimi oltraggi e altri estremi dolori. Andromaca abbraccia per l’ultima volta il suo piccolo Astianatte, che sarà scaraventato dalle mura della città, per distruggere anche l’ultimo rappresentante della stirpe troiana. Toccherà alla nonna Ecuba, dargli sepoltura, prima di essere trascinata via da Troia in fiamme. E Cassandra, nel ricordare la gloria passata della sua città, che aveva tentato invano di salvare, predirà le vicissitudini del ritorno in patria dei vincitori.

Nonostante la loro condizione di totale soggezione, le donne troiane conservano tutta la loro FIEREZZA e non rinunciano alla loro DIGNITA’, neppure dinnanzi alle prove a cui sono sottoposte e che dovrebbero spezzare le loro ultime resistenze. Nei loro confronti il poeta non nasconde la sua vicinanza e solidarietà umana, mentre è forte la condanna verso coloro che le porteranno via come prede di guerra, i grandi condottieri della leggendaria guerra per la conquista di Troia, che si distinguono solo per la loro smisurata e insensata crudeltà e prepotenza.  Nel dramma di Euripide i criteri di giudizio su vincitori e vinti sono completamente ribaltati rispetto al sentire comune e a quanto tramandato dal mito. E la vera forza non è quella legata alla violenza, bensì all’umanità. La forza delle donne che restano e, a modo loro, continuano a resistere, anche quando ogni speranza è perduta.

E’ una grande prova poetica, quella di Euripide, ma anche una forte denuncia, pubblica, che lui fa contro il militarismo della sua città, solo pochi mesi dopo l’attacco di Atene, impegnata nella guerra del Peloponneso, contro gli abitanti dell’isola di Melo, che non si erano voluti sottomettere ai diktat ateniesi. L’isola, come Troia, fu messa a ferro e fuoco, gli uomini sterminati, le donne e i bambini deportati come schiavi nella civilissima capitale dell’Attica. Come Ecuba, Andromaca, Cassandra e tutte le altre donne dei vinti di ogni guerra.

E come, oggi, le donne yazhide o curde prede degli uomini neri dell’Isis, le giovani studentesse rapite in Nigeria da Boko Haram, le afghane trattate da sottospecie umana dai talebani e via elencando le tragedie dei tanti teatri di guerra che sopravvivono sul pianeta. Nell’autunno 2015 l’opera di Euripide e il suo grido coraggioso contro la guerra e la violenza risuonano ancora di strettissima attualità. Purtroppo. Come quel giorno di marzo del 415 avanti Cristo ad Atene, 24 secoli fa.

 

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