Diciotto anni fa, senza che loro chiedessero nulla e senza che, probabilmente, si aspettassero o sperassero ancora in qualcosa di buono dalla vita, la società aveva assunto con loro un impegno solenne. Quel brusco, radicale cambiamento che li aspettava sull’isola da cui erano stati allontanati tanti anni prima, era la porta d’ingresso verso una vita nuova. Profondamente diversa. Non più segnata solo da sofferenza, solitudine, abbandono, disperazione, ma finalmente capace di restituire calore, affetti, sicurezza, stabilità e, per quanto possibile, serenità. Insieme all’identità di PERSONE che il manicomio aveva represso, svilito, annullato. E che aveva provato a sradicare per sempre da quegli uomini e donne rinchiusi da tanto tempo a causa della malattia. Una malattia diversa, della psiche invece che del corpo, e perciò trattata con implacabile durezza, come una condanna eterna, negatrice a priori di ogni ipotesi di futuro.
Invece, il futuro un giorno si era materializzato, inaspettato e incompreso, negli stanzoni fatiscenti ancora carichi di orrore, presentandosi con i volti di sconosciuti dai modi finalmente rispettosi, affabili e perfino delicati nei confronti di coloro che a breve sarebbero usciti da quel luogo più chiuso di una prigione, per tornare sull’isola della nuova nascita. Chi prima chi dopo fecero quel viaggio di ritorno senza sapere, come tanti anni prima in direzione opposta, cosa li stesse aspettando. Ma stavolta era tutto diverso. Ad accoglierli alla fine del viaggio c’era una casa bella, accogliente, piena di sole, di luce e di colori. E c’erano quei volti con cui avevano preso confidenza da qualche tempo, insieme ad altri di persone non meno gentili, premurose, sempre pronte a dare aiuto, cura, sostegno. E poi c’erano gli altri compagni di manicomio e di viaggio, con cui imparare a condividere di nuovo l’esperienza quotidiana di una famiglia.
In quei giorni, con quegli ischitani di ritorno che lo Stato, per legge, aveva liberato dall’abbrutimento perchè tornassero ad essere pienamente cittadini titolari di diritti, le istituzioni e la comunità avevano assunto, appunto, un IMPEGNO preciso. UN IMPEGNO PER LA VITA. Non soggetto a scadenza, come un vasetto di yogurt. Nè agli umori e alla discrezionalità di dirigenti o funzionari di passaggio. Nè al pregiudizio di qualche sindaco o gruppo di cittadini, come pure era accaduto all’inizio di quella nuova avventura ischitana. NO, QUELL’IMPEGNO DI RISPETTO, DI CURA E DI PROTEZIONE ERA – DOVEVA ESSERE – PER SEMPRE.
Ma così non è stato. Anche se sembrava impossibile che quella conquista, corrispondente alla creazione della FAMIGLIA DELLA SIR VILLA ORIZZONTE, potesse mai essere reversibile. Diciassette anni dopo l’inizio di quel percorso difficile e virtuoso, l’IMPEGNO E’ STATO TRADITO. E IL PATTO DI GIUSTIZIA IN CUI SI ERA CONCRETATO, ROTTO. INOPINATAMENTE, IMMOTIVATAMENTE. VERGOGNOSAMENTE.
La scelta scellerata di stravolgere l’esperienza della Sir, fino al suo annullamento, non poteva e non è rimasta senza conseguenze. Quelle vite tanto faticosamente ricostruite sono state all’improvviso rigettate nell’incertezza, nella mancanza di riferimenti, nell’insicurezza. Senza ritegno, senza rispetto, quegli uomini e quelle donne sono stati sradicati dalla loro casa, una prima volta, e poi a distanza di pochi mesi separati e condannati, senza colpa, a vagare da un posto all’altro, senza più radici. Anime in pena, trasformate in numeri. Esigui e, dunque, di nessuna importanza per chi aveva fretta di chiudere la pratica burocratica in cui li aveva trasformati.
Hanno detto e scritto, sulle “carte”, che le loro condizioni di salute non giustificavano più l’esistenza di una casa protetta con un’assistenza h24. LE LORO VITE ERANO DIVENTATE ALL’IMPROVVISO UNO SPRECO DA TAGLIARE. SENZA RIPENSAMENTI, SENZA PIETA’. E COSI’ E’ STATO.
Ma c’è chi non ha retto a quell’ultima, ennesima ferita nell’anima. C’è chi non ha sopportato lo sradicamento, lo stress, lo squilibrio tornato bruscamente nella sua esistenza. C’è chi è stato di nuovo male, tanto da dover essere riportato via dall’isola, perchè per lui qui non c’era più un posto dove ricevere le cure necessarie. E al male della mente si è presto accompagnato quello del corpo…
Due dei residenti della Sir Villa Orizzonte, dopo le vicissitudini dell’estate, sono finiti in strutture ad alto livello di assistenza in terraferma, nonostante per l’Asl il gruppo isolano non avesse più bisogno neppure della Sir. Ieri, uno di loro ha lasciato questa vita, che gli aveva riservato l’ultimo tradimento. E un altro sta molto male, lontano da Ischia, dalla sua casa, dalla sua famiglia.
LA ROTTURA DI QUELL’IMPEGNO ASSUNTO 18 ANNI FA NON E’ STATA SENZA CONSEGUENZE. HA MESSO PESANTEMENTE IN GIOCO 10 VITE UMANE. E CHIAMA IN CAUSA PESANTEMENTE LE RESPONSABILITA’ DI CHI HA ROTTO SCIENTEMENTE QUEL PATTO DI CIVILTA’ E DI GIUSTIZIA COME DI CHI VI HA CONTRIBUITO CON SILENZI, OMISSIONI, PASSIVITA’.
UNA SCONFITTA DEL SISTEMA SANITARIO, DELLE ISTITUZIONI A VARI LIVELLI E ANCHE DI UNA COMUNITA’ NON SUFFICIENTEMENTE REATTIVA. ADESSO FACCIAMOCI TUTTI UN ESAME DI COSCIENZA E CERCHIAMO, ALMENO, DI NON ABBANDONARE GLI ALTRI “PULICINI (ANCORA) SPERDUTI”.