A prima mattina, la Novena riuniva tutti gli abitanti del borgo. Era, quello, l’appuntamento che scandiva giorno per giorno l’approssimarsi della festa più attesa dell’anno. Inutile cercare in giro per il paese dei segni esteriori del Natale ormai imminente. Non c’erano luminarie per le strade né addobbi particolari nelle botteghe dall’arredo essenziale, prive di vetrine perché tanto c’era poco da esibire. Eppure, l’atmosfera natalizia, quella dolce sensazione che coinvolgeva l’intera comunità si avvertiva lo stesso, anzi era quali palpabile nei vicoli di Ischia Ponte protesi verso il mare e nelle case.
Anche lì, nelle case, non c’erano abbellimenti speciali. L’albero di Natale, estraneo alla cultura e alle tradizioni mediterranee, avrebbe conquistato il suo spazio solo con il boom degli anni Sessanta. Al Natale, allora, era legato solo il presepe. Costruito con amore dalla famiglia intera nelle lunghe serate d’autunno, riscaldate dai camini e dai bracieri. E per costruire le scenografie della Notte Santa si usavano tutti materiali naturali reperibili in campagna o in pineta: muschio, pietre, pezzetti di legno. Vi trovavano poi posto i pastori, un piccolo patrimonio di famiglia, custodito gelosamente in una cassa nel resto dell’anno.Nulla a che vedere con il grande PRESEPE allestito ogni anno NELLA CHIESA DELLO SPIRITO SANTO, con antichi, bellissimi pastori. Ad occuparsene era sempre la stessa persona, il maestro CONTURSI, che suonava l’organo durante le funzioni nella collegiate e nelle chiese vicine.
Il PRESEPE DOMESTICO diventava il fulcro della casa per tutte le feste.Collocato di solito nella stanza dove si riuniva la famiglia durante il giorno, attirava l’attenzione dei consueti frequentatori dell’abitazione: i vicini innanzitutto e quanti facevano visita per portare i loro auguri. In occasione di quelle visite avveniva anche il tradizionale scambio di doni. Cose semplici, di solito mangerecce, spesso prodotti fatti in casa in quantità limitate, una sorta di prodotti alimentari di “lusso”, capaci di fare la differenza tra i pasti quotidiani e quello della festa. Chi veniva dalla campagna portava arance, limoni e, ambitissime, “CHIUPPETELLE” DI FICHI SECCHI. E sempre i fiche secchi venivano poi “conciati” per l’occasione con la scorza di mandarino e coperti di cioccolato. E non mancava di solito la bottiglia di vino cotto, come un liquore. Chi non aveva terreni e, dunque, prodotti propri, ricambiava con pasta, zucchero e caffè. Cose semplice, perché davvero contava il pensiero affettuoso o il segno di rispetto a seconda del tipo di rapporti che si intrattenevano.
Del resto, la frutta secca era la leccornia per eccellenza, per i più piccoli il segno della festa. Di regali a Natale non ne arrivavano. Non c’era la tradizione di Babbo Natale, radicata tra i popoli nordici. Gli unici regali erano riservati al giorno della Befana. Niente di particolare, neanche in quel caso: le calze da donna di cotone nero venivano riempite di mandarini, cioccolatini, pezzetti di roccocò, fichi secchi.
Di GIOCATTOLI non se ne vendevano. Non c’erano negozi che trattassero quella merce. Per giocare ci si industriava, a seconda delle stagioni, con i frutti della terra. Così Natale era il tempo del CASTELLETTO. Bastavano tre nocciole sistemate a terra, a piramide. Se le aggiudicava chi, colpendole a distanza con il “pallone”, ossia una nocciola più grossa, faceva cadere la piramide. Altro gioco gettonatissimo per le feste era il SOTTOMURO. Si lanciavano monetine da pochi centesimi contro un muro. Chi riusciva a farlo dalla distanza maggiore, si aggiudicava una manciata di centesimi. Si giocava a “mezz’ischia”, allo Stradone, dov’è Casa Malcovati. non solo bambini, ma anche adulti.
Altro segno della festa erano i PREPARATIVI DELLA VIGILIA. In casa si impastavano i dolci tipici di Natale: roccocò e susamielli. E poi si faceva la fila da Conte, sotto la Pozzolana, o dall’altro fornaio, dov’è oggi l’oreficeria Lanfreschi. E alla vigilia c’era l’appuntamento con il MERCATO DEL PESCE, sul piazzale Aragonese, dove si facevano gli acquisti per la cena.
Nei giorni precedenti era di prammatica la partecipazione alla CANTATA DEI PASTORI, organizzata dai giovani del paese e presentata nel salone del Seminario.
A segnare l’arrivo della festa tanto attesa la MESSA DI MEZZANOTTE, a cui partecipava l’intero paese. Il giorno di Natale trascorreva in famiglia, con le persone care. E nel pomeriggio, quando la televisione era di là da venire, il programma prevedeva una visita al CINEMA UNIONE dei fratelli Castagna, “int’o convento”, dove si proiettavano gli ultimi film. Per accompagnare la visione, i ragazzi facevano scorta di castagne peste da Biele, che aveva la bottega proprio all’angolo del Convento, o da Forturella ‘a castagnara, con il negozietto poco più in là.
C’era poco allora rispetto alla dovizia di giocattoli, regali elettronici e non, cibi più o meno esotici, addobbi ovunque. Ma l’attesa del Natale non era meno intensa di oggi, anzi forse lo era di più. Si viveva e ci si divertiva con poco, ma il calore degli affetti e la spontaneità delle emozioni rendevano ogni Natale un evento unico. Ancora vivo nel ricordo di chi, allora, era bambino.