Qualcuno si è fortemente inclinato e ad impedirne il crollo resta solo la chioma dell’albero di fronte in cui si è compenetrata la sua. Qualche altro si è già abbattuto e giace al suolo. Insieme ai rami vecchi e spogli precipitati dagli esemplari che svettano verso il cielo. In cerca di luce. Quella che hanno sempre conquistato a fatica, spingendosi verso l’alto perché era l’unico spazio disponibile. Sono cresciuti così i pini del Bosco della Maddalena, in condizioni estreme, ma non per colpa del clima o di un ambiente non confacente alle caratteristiche della loro specie. Tutt’altro. A condannarli ad una continua competizione che non ha giovato al loro accrescimento è stata l’incuria dell’uomo, subita per decenni, fin da quando erano giovani e già nessuno si occupava più di loro. Un destino completamente diverso dai loro simili, molto più anziani, che per primi erano stati piantati per colonizzare un’ampia fetta di territorio, in quel caso per ridare vita alle apparentemente sterili lave dell’Arso.
La differenza rispetto ai giganti delle pinete dell’Arso è evidentissima al primo colpo d’occhio. Certo, i “fratelli” delle PINETE DI ISCHIA hanno tra gli ottanta e i cento anni in più, ma non è la differenza d’età all’origine della loro diversità. Piantati tutti dall’uomo, i pini risalenti alla metà dell’Ottocento furono seguiti con grande cura dall’artefice di quell’esperimento, il grande botanico Giovanni Gussone, e dai suoi successori, che provvidero a varie riprese a sfoltire la pineta mentre cresceva, per consentire agli esemplari più forti di avere a disposizione man mano lo spazio e la luce di cui avevano un bisogno crescente. E’ stato così che le chiome si sono allargate sui tronchi forti e solidi, raggiungendo dimensioni che ne hanno fatto dei perfetti, armoniosi, possenti esemplari di Pino domestico. Molti dei quali sono sopravvissuti anche all’aggressione della Marchalina hellenica, nonostante l’età già molto avanzata. Una sorte ben diversa è toccata ai pini del BOSCO DELLA MADDALENA, piantati fitti tra gli anni ’30 e ’50 del Novecento, che sono stati abbandonati a loro stessi, senza che si sia mai provveduto al progressivo sfoltimento che avrebbe consentito ai superstiti di crescere sani. La quantità è stata nemica della qualità: troppi alberi, che sono venuti su alti, ma con tronchi troppo esili e chiome ridotte e stentate. Piante deboli, con un ancoraggio radicale a terra rachitico come tutte le altre parti della pianta. Che soffre dunque l’azione del vento ed è più debole rispetto alle aggressioni degli insetti nemici.
Gli unici interventi umani registrati nella pineta di Casamicciola sono stati finora dei disastri: dal taglio indiscriminato lungo i sentieri per fare legna da ardere nei decenni passati, agli estesi incendi – soprattutto quelli del ’95 e del 2009 – che hanno prodotto distruzione nell’immediato e lasciato ferite profonde e insanabili. I segni sono ancora ben visibili alla base dei tronchi dei pini che il fuoco ha ulteriormente indebolito, senza incenerirli. E quei tronchi bruciati, insieme ai tanti rami secchi che sono presenti su tutti gli alberi, creano le condizioni ideali per la proliferazione del Blastofago, il killer dei pini, che nel Bosco della Maddalena è molto presente e rappresenta un rischio enorme per quello straordinario polmone verde nel cuore dell’isola.
Negli ultimi anni se n’è parlato esclusivamente in rapporto alla scandalosa vicenda della caserma della Forestale abusiva, mentre è stata completamente dimenticata e trascurata la DIMENSIONE NATURALISTICA E FITOSANITARIA della pineta isolana. Che invece, per le sue condizioni già preoccupanti, era stata oggetto di varie segnalazioni negli anni precedenti a quella incredibile colata di cemento. E il trascorrere del tempo, senza che sia stato accompagnato da alcun intervento ha progressivamente peggiorato una situazione denunciata come grave alla fine degli anni’90.
Fu l’ASSOPINI, mentre si lavorava per arginare l’espansione della Marchalina hellenica nella pineta dell’Arso, a sollevare contemporaneamente la questione di tutelare anche il Bosco della Maddalena, afflitto da altri ma non meno seri problemi. I tecnici dell’associazione furono i primi a rilevare una gravissima infestazione da Blastofago, la debolezza delle piante bruciate e i rischi per la loro tenuta e per le piante circostanti. Centinaia di pini in pericolo, che richiedevano interventi seri e urgenti. Si riuscì a far convocare una CONFERENZA DEI SERVIZI, che elaborò un cronoprogramma dei lavori strutturali da fare nel Bosco, compreso per la prima volta lo sfoltimento “terapeutico” dei pini, per eliminare piante malate e a rischio e consentire alle rimanenti di svilupparsi finalmente in modo sano, di irrobustirsi e di rinfoltirsi. Sembrava che il 1999 sarebbe stato l’anno della svolta, tutto era predisposto per aprire una nuova fase nella gestione e nella tutela del polmone casamicciolese. Ma, anche quella volta, la burocrazia alla fine bloccò tutto inesorabilmente.
Arriviamo al 2002, quando un nuovo studio di un autorevole esperto del “Progetto Aenaria” evidenziò una preoccupante infestazione da Blastofago, lanciando di nuovo l’allarme sul futuro della pineta che ormai non poteva più continuare ad essere abbandonata a sé stessa. Ci fu un nuovo tentativo di mettere insieme i soggetti istituzionali responsabili, sempre da parte dell’Assopini. Ma GLI ENTI INTERESSATI HANNO CONTINUATO A FREGARSENE. Così come è rimasta sulla carta l’occasione del PARCO URBANO, che il Comune di Casamicciola ha velocemente seppellito dopo averlo promosso. E DA ALLORA C’E’ STATO IL NULLA.
I risultati sono nei pini secchi, bruciati, stentati. La cui instabilità è un rischio anche per la tenuta della collina, che molto dipende dalla capacità degli alberi di ancorare il terreno. Eppure, nessuno più si pone neppure il problema. IL COMUNE DI CASAMICCIOLA E’ COMPLETAMENTE ASSENTE, alla faccia del Parco urbano mai decollato. LA PROVINCIA NON ESISTE PIU’. E anche le ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE SI SONO DIMENTICATE DEL BOSCO DELLA MADDALENA. Una bomba ad orologeria, dal punto di vista ecologico e fitosanitario e da quello della difesa del suolo. A proposito di prevenzione del rischio idrogeologico…