Tutto d’un tratto, sono tornata indietro di ventitré anni. Tanti ne sono passati da quando gli ischitani, forse per la prima volta nella loro storia recente, fatte salve processioni e manifestazioni sportive, trovarono la voglia, il tempo e la determinazione per unirsi, indignarsi e scendere in piazza A MIGLIAIA a tutela di un bene primario per tutti: l’OSPEDALE. Era il 1993 e il “Rizzoli” era sotto attacco. Da mesi si parlava del suo ridimensionamento drastico non come mera ipotesi, ma come un progetto prossimo a realizzarsi. E le dichiarazioni dei politici regionali non facevano altro che avvalorare questo disegno. Volevano lasciarci – bontà loro – un punto di primo soccorso, nulla più che una struttura finalizzata solo a smistare i trasferimenti in terraferma, anche per le patologie che fino ad allora erano state trattate sul posto, grazie ad un rilancio del presidio, dopo essere stato a lungo una “medicheria da campo”.
Tutti uniti – categorie, associazioni, forze politiche e sindacali, scuole, il Vescovo Strofaldi e la Chiesa, perfino l’allora comandante del Palazzo Reale Cozzi, cittadini di ogni luogo dell’isola e delle più varie età – battagliammo per mesi, con la mobilitazione pacifica e gli strumenti di protesta della democrazia, per far capire a chi decideva delle nostre vite in terraferma che l’ISOLA AVEVA DIRITTO AD UN OSPEDALE DEGNO DI QUESTO NOME. Alla fine, dopo aver fatto conoscere a livello nazionale gli scandalosi disegni di chi voleva toglierci il necessario e aver inchiodato i politici alle loro responsabilità, LA SPUNTAMMO. Una vittoria che in un paese civile non sarebbe mai dovuta essere necessaria, semplicemente perché un problema e un rischio come quelli che l’avevano originata non si sarebbero mai dovuti presentare.
Ma tant’è, per gli isolani i diritti fondamentali non sono mai scontati. E quello alla salute, in particolare, continua ad essere in pericolo, oggetto di ciclici attacchi, che si aggiungono alle condizioni limite in cui già in tempi “normali” i servizi vengono effettuati e garantiti ai residenti e ai turisti.
Dopo quella vittoria memorabile che ci salvò dalla perdita dell’ospedale, abbiamo però dovuto sopportare il ridimensionamento di fatto per la perdita dei fondi già destinati ad un ampliamento indispensabile. E siamo passati alla fine degli anni ’90 per una fase disastrosa di regresso funzionale, superata solo a partire dal 2000 e dopo che le denunce di una Commissione parlamentare d’inchiesta e la morte della piccola Ludovica avevano acceso i riflettori sulla realtà da Terzo Mondo in cui era sprofondata la struttura di Lacco. E quante altre volte da allora si è tentato ancora di ridurre il nostro presidio alla “medicheria da campo” di tanti anni fa, di tornare ai trasferimenti in massa in terraferma, di ridurre ai minimi termini l’offerta sanitaria sull’isola?! E che dire dei tagli drammatici subiti dalla Salute mentale, sulla pelle dei residenti della Sir e degli altri pazienti psichiatrici dell’isola e delle loro famiglie?
Mentre a Ischia siamo sempre in allarme per i problemi, i limiti, le criticità in serie della sanità pubblica sia in ospedale che sul territorio, Procida è piombata nell’incubo che abbiamo conosciuto in quell’indimenticabile 1993 e anche, seppur in modo meno eclatante, dopo. Anche loro rischiano di perdere servizi sanitari primari conquistati a fatica, dopo una tragedia. Perché pare che per gli isolani ci vogliano dei drammi per ottenere un’assistenza civile e i Livelli Minimi di Assistenza che sono garantiti a tutti i cittadini italiani dalle leggi e dalla Costituzione.
Chi sta dall’altra parte del mare non sa (per sua fortuna) cosa significhi dover temere per la vita propria e dei propri cari quando a mare c’è burrasca e gli elicotteri non possono volare. Si fa presto a programmare a tavolino spostamenti via mare o nel cielo quando si conosce l’isola solo d’estate da vacanzieri senza problemi. Si fa presto a tagliare e risparmiare sulla pelle di chi è già penalizzato dai limiti della natura, è marginalizzato dai centri decisionali e non ha più neppure la possibilità di far sentire la sua voce, far valere le sue ragioni, evidenziare i suoi bisogni particolari in seno all’Azienda Sanitaria Locale. Che è la condizione in cui si trovano sia Ischia che Procida nella Na2 Nord. E forse anche Capri, in seno alla Na1 Centro.
Per questo la battaglia di Procida che lotta per l’Ospedale e per il Diritto alla Salute è la nostra stessa battaglia. Per questo i procidani e gli ischitani devono alzare insieme le loro voci, forti e chiare, per SALVARE SERVIZI INDISPENSABILI E IRRINUNCIABILI. Per questo le lenzuola bianche fuori ai balconi esposte per le vie di Procida dovremmo esporle anche a Ischia, dove abbiamo perduto e stiamo continuando a perdere pezzi fondamentali dell’assistenza sanitaria sul territorio. Per questo, mai come adesso e mai come su questo terreno comune,LE DUE ISOLE FLEGREE DEVONO ESSERE UNITE, SOLIDALI, COMPATTE. AMMINISTRAZIONI COMUNALI, ASSOCIAZIONI, CITTADINI. PERCHE’ I SERVIZI SANITARI NON SONO UN’OPTIONAL NE’ UN FAVORE, MA UN DIRITTO CHE LA COSTITUZIONE GARANTISCE IN EGUAL MODO A TUTTI I CITTADINI DELLA REPUBBLICA. COMPRESI GLI ABITANTI DELLE ISOLE…