E’ un altro mare. Per latitudine, colori, atmosfere. E luce, soprattutto. Un mare lontano, nordico, dove i grigi prevalgono sugli azzurri e le onde aspre e selvagge percuotono con furore le terre emerse in ogni stagione. Tanto diverso, senza mai risultare estraneo, lontano, tanto meno ostile. Fino ad integrarsi in quello spazio bianco paradigma di mediterraneità in cui si percepisce, ineludibile, la vicinanza del mare nostro. E’ un equilibrio delicato e armonioso quello che si celebra in questi giorni nella Galleria Ielasi a Ischia Ponte con gli ACQUERELLI di Giorgio Maria Griffa. Grande viaggiatore, narratore di terre e mari lontani con i pennelli, suo mezzo espressivo prediletto, ma senza disdegnare la parola scritta. E sono frutto di un lungo incontro di viaggio, sulle coste scozzesi, le opere proposte ora a Ischia, parte di un vasto ciclo dedicato ai fari degli Stevenson.
Con la pazienza e la passione di un ricercatore, Griffa è riuscito a raggiungerli e a visitarli tutti, i 97 fari che da due secoli segnalano in Scozia il frastagliato confine tra terra e mare. Una lunga sequenza di opere dell’ingegno e del lavoro umano incastonate in un ambiente naturale difficile, a volte perfino arduo, che non ha perduto la sua dominanza. Quei fari hanno fatto la storia della Scozia, rendendo meno proibitive le condizioni della navigazione in quelle acque che, in precedenza, erano teatro di continui naufragi, temibile banco di prova anche per i naviganti più esperti.
Quei fari, costruiti in luoghi impossibili e in condizioni estreme dalla fine del Settecento, sono stati la grande impresa della famiglia Stevenson, ineguagliati progettisti e costruttori di infrastrutture, come si direbbe oggi. Famosi come ingegneri già da due generazioni, quando “L’Isola del tesoro” e le altre opere regalarono la notorietà a Robert Louis Stevenson ben oltre le terre di Scozia.
Sui promontori scozzesi dominati dai fari, Griffa ha trovato tutti gli elementi che sono il comun denominatore della sua produzione artistica: luoghi poco conosciuti e frequentati, che si sono mantenuti abbastanza incontaminati, nonostante l’azione dell’uomo abbia contribuito a modellarli e modificarli. E la mostra isolana ci trasporta in quella realtà di confine, dal grande fascino evocativo, tra le rovine di antichi castelli a picco sul mare, le coste rocciose e la brughiera che si spinge fin sul limite estremo a terra. E i fari protagonisti della scena, ciascuno diverso dall’altro, presidi di umanità nella natura dove non è prevista la presenza dell’uomo. Un viaggio che ci restituisce, da isolani, una dimensione familiare ovunque la terra conosca il mare come limite.
E altrettanto familiari sono le creature che popolano quel mare grigio: tra le opere esposte ci sono anche dei bellissimi lavori dedicati ai grandi cetacei, di casa anche nel mare nostro.
A completare il fascino discreto di un allestimento perfetto, dalla raffinata semplicità che nulla ha lasciato al caso, l’inserimento di alcuni bellissimi velieri, il mezzo del viaggio, dell’esplorazione, dell’incontro tra luoghi e culture diverse. L’elemento umano che si affida e che sfida la natura. Come il pennello dell’artista che si propone di raccontarla e di (re)interpretarla.
La mostra resterà aperta fino al 20 giugno, per poi spostarsi a Firenze. Potrà essere visitata tutti i giorni dalle 18.00 alle 21.00.