Quei ragazzini coraggiosi dell’Agrario non meritano di essere lasciati soli

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Foto Qui Ischia

E’ abbastanza inconsueto che dei ragazzi all’inizio delle superiori abbiano già le idee chiare sul loro progetto di vita professionale. Come sui sacrifici necessari per concretizzarlo. Ed è decisamente raro trovarli concentrati in una sola classe. Quella che un anno fa aveva dato inizio al nuovo indirizzo di Agraria, nell’ambito dell’IPS “Telese”. E quella che già non esiste più, abolita con un tratto di penna o un tasto di computer dalla miopia dei burocrati che a Napoli hanno appena deciso che quel corso di studi non s’ha da fare. E che, con quella scuola, possono essere sacrificati i progetti di quei ragazzi, le speranze di rinascita di Serrara e il movimento sempre più ampio di ritorno all’agricoltura sull’isola.

Qualche mese fa, in occasione di un interessante workshop organizzato dalla Condotta Slow Food dell’Isola d’Ischia e dalla Pro Loco Panza, quella classe seguì con grande attenzione e partecipazione le relazioni degli esperti. E l’entusiasmo di quei ragazzi, l’interesse autentico mostrato per tutta la mattinata, ma soprattutto la passione con cui illustrarono i motivi per i quali avevano scelto l’Agrario, furono una vera, confortante rivelazione. Nonostante la giovanissima età, ognuno di loro mostrava piena consapevolezza e convinzione della scelta compiuta e della necessità di seguire quel percorso formativo per arrivare a coronare i loro sogni per il futuro.

Ben definiti anche  i sogni. Nulla di campato in aria, tutt’altro. Parlavano con concretezza adulta, i ragazzini. Quelli che avevano già il terreno di famiglia da cui partire e nel quale contavano di portare e di valorizzare ciò che stavano imparando e che avrebbero imparato negli anni successivi. E quelli che coltivavano progetti ambiziosi, senza neppure pensare a ripercorrere le strade degli anziani: allevamenti di cavalli e di fagiani, innanzitutto.

Ci credevano, quei ragazzini. E ci hanno messo del loro, per mettere a frutto il primo anno di scuola professionale e sfruttare al meglio l’occasione che gli si era presentata. E che, in quel momento, li vedeva perfino privilegiati rispetto ai loro compagni di un anno più anziani, che l’anno prima si erano dovuti arrendere a dover rinunciare alla loro scelta per gli studi agrari, non essendosi riuscito a formare la classe.

Pensavano di avercela fatta, i ragazzini. Ma non è bastato per convincere chi decide a Napoli ad uscire dalla devastante logica burocratico-ragionieristica che ormai lega tutto ai numeri e valuta tutto in termini di quantità. E così, via, marcia indietro: Ischia non avrà più l’Agrario. Per un anno si è scherzato. Neanche il tempo di finire l’anno scolastico che già veniva affossato il prossimo. E le aspettative, le speranze, le scelte di quei ragazzi, rimasti senza scuola, e di un intero territorio.

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Foto Qui Ischia

C’è un’isola che sta riscoprendo le sue radici  ancorate nella terra, che le cura, le protegge e s’impegna e s’ingegna per renderle più vive e profonde. Ed è quella che aveva accolto con un sospiro di sollievo la nascita di quel nuovo corso di studi, la scuola a Serrara con il terreno da recuperare e coltivare intorno, il patrimonio di conoscenze che quei ragazzi avrebbero acquisito e trasformato “da grandi” in opportunità di lavoro per loro e di sviluppo sostenibile per Ischia. E’ l’isola che s’interroga sui terreni abbandonati, che raccoglie firme e consensi per gli orti sociali, che sottrae terra fertile al cemento e al degrado, che recupera i saperi dei padri e ricerca i sapori genuini e i prodotti sani. L’isola che considera l’agricoltura non come un regresso, tanto meno a livello culturale, bensì come un passaggio evolutivo da cui trarrà beneficio la qualità della vita di tutti. Compresi gli ospiti forestieri.

E c’è, però,  anche l’altra isolqa. che si vergogna della sua origine e della sua natura, che considera la terra solo come un supporto “p’a frauca” o come fogna comune, che quella nuova scuola ha sempre guardato nel migliore dei casi con indifferenza e nel peggiore con disprezzo, che ha bollato quei ragazzini perchè andavano a scuola “p zappà”. Quell’isola cieca ha trovato il suo specchio nei burocrati miopi affossatori dell’Agrario. E non se ne vergogna, come non se ne vergognano a Napoli. Del resto, è quell’altra l’isola che affossa l’Isola. O perlomeno ci prova.

Che ci riesca  è tutto da vedere, però. Se l’isola “di terra” si farà sentire, non cederà all’indifferenza e al silenzio, c’è ancora modo tutti insieme di far camminare e correre il progetto dell’Agrario come espressione di un processo più ampio e diffuso sul territorio. E magari c’è ancora una timida possibilità di salvare il sogno di quei ragazzini coraggiosi. Che non meritano di essere lasciati soli.

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