Sul Castello Aragonese, l’estate della musica che ritorna

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Giordano Montecchi

di GIORDANO MONTECCHI

 La bellezza ha fame di bellezza. Si nutre di se stessa.

È per questo che le arti, la musica, si sposano felicemente ai luoghi più incantevoli – e spesso sono matrimoni di lunga, lunghissima durata – luoghi traboccanti di storia, di memorie e di pietre antiche, ma anche di natura e di paesaggi; scorci e orizzonti tali da incendiare l’ispirazione di poeti, pittori, musicisti. O più semplicemente, luoghi ideali per il “buen retiro” delle anime inquiete, che dopo aver cercato per una vita intera, se hanno fortuna, trovano infine, il luogo sognato. In un caso o nell’altro è da quelle parti che aleggia quell’essenza così sfuggente e rara che siamo soliti chiamare felicità.

Il Castello Aragonese di Ischia è uno di questi luoghi, anzi ne è il paradigma, l’incarnazione esemplare.

Per chi, ad esempio, ama la musica, o addirittura vive di musica, il Castello è come un gigante silenzioso, denso di una storia nella quale le interminabili e sanguinose guerre fra dinastie bramose di possedere quest’isola e le sue bellezze si intrecciano alle più illustri e mirabolanti tradizioni musicali: la Spagna, o per meglio dire il Mediterraneo degli Aragonesi, e dunque un crogiuolo di culture e lingue, coi loro canti e i loro ritmi. E a poche leghe sotto la sagoma della montagna fumante, quella grande città, culla di tutte le musiche, che proprio con gli Aragona fu la più popolosa d’Europa.

Chi respira l’aria del Castello – credo – non può fare a meno di percepirne la musica silenziosa. Ed ecco che nasce l’idea, il bisogno di dare corpo a questa voce, a questa musica implicita. Portare qui le musiche più belle, liberarle fra queste mura, donare loro la felicità di questo luogo, e a questo luogo la felicità di quelle musiche.

Molti anni fa un’amica mi tesseva le lodi del Castello Aragonese. Finché mi convinse ad andare. Fu amore istantaneo. E da allora sono io, a mia volta, a cantare le lodi del Castello alle persone più care. La passione strenua, instancabile con la quale i Mattera, di padre in figlio si trasmettono la missione di accudire e abbellire questo patrimonio di bellezza è diventata come un richiamo, una sollecitazione a offrire un contributo, piccolo magari, ma doveroso. Aggiungere bellezza a bellezza.

E allora, con NICOLA e CRISTINA MATTERA, ci siamo detti: ma sì, PROVIAMOCI, RIPORTIAMO LA MUSICA AL CASTELLO. Impresa difficile e piena d’incognite, un po’ alla Fitzcarraldo, se si pensa a un grande pianoforte su per quel lungo tortuoso tragitto che sale, sale lungo i fianchi della montagna e non finisce più.

«Es muß sein!» avrebbe detto Beethoven: così dev’essere! E dunque, cambiando due lettere, il Sogno di una notte di mezza estate è diventato i Suoni di una notte di mezza estate. Confidiamo che sarà un’anteprima, un preludio a un progetto più ampio che nuovamente, come in passato, possa ridare alla musica una residenza al Castello. E consenta di offrire agli amanti della bellezza qualche occasione da riporre fra le esperienze indimenticabili.

Per questa notte di mezza estate ho invitato due grandi musicisti ai quali da anni raccontavo del Castello.

A seconda di come impiegano i loro talenti, i bravi musicisti si distinguono in due tipi. C’è l’istrione che ambisce all’applauso esibendo la propria virtù (ed è il tipo vincente, che spopola sui palcoscenici). E c’è l’interprete che al pubblico non esibisce se stesso, ma offre in primis la musica. Musicisti, questi ultimi, ascoltando i quali ti viene da dire non tanto «Ma quanto è bravo!»; e che ti spingono invece a esclamare: «Che bella musica!». Perché questa è la missione del musicista. Ed è anche la filosofia di questo nuovo, primo incontro con la musica al Castello.

OLGA ARZILLI e PIERPAOLO MAURIZZI appartengono a questa nobile categoria di artisti, ammirevoli servitori della musica e maestri d’arte appassionati, dalla cui “bottega” non cessano di uscire giovani meravigliosi musicisti.

Venerdì 8 luglio, nello scenario irripetibile della Cattedrale dell’Assunta, ascolteremo, trattenendo il fiato, i dialoghi di una viola e di un pianoforte, raccontati da tre musicisti immensi: Franz Schubert, Johann Sebastian Bach e Dmitri Šostakovič. Tre capolavori per quel capolavoro d’arte e di natura che è il Castello.

 

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